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Novità -Assalto ai forni (Promessi sposi- Alessandro Manzoni)[1] -
2012-11-29


XI
AssaltoForni1


   [...]Fece la strada che gli era stata insegnata, e si trovò a porta orientale. Non bisogna però che, a questo nome, il lettore si lasci correre alla fantasia l'immagini che ora vi sono associate. Quando Renzo entrò per quella porta, la strada al di fuori non andava diritta che per tutta la lunghezza del lazzeretto; poi scorreva serpeggiante e stretta, tra due siepi. La porta consisteva in due pilastri, con sopra una tettoia, per riparare i battenti, e da una parte, una casuccia per i gabellini. I bastioni scendevano in pendìo irregolare, e il terreno era superficie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttati là a caso. La strada che s'apriva dinanzi a chi entrava per quella porta, non si paragonerebbe male a quella che ora si presenta. a chi entri da porta Tosa. Un fossatello le scorreva nel mezzo fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione. Al punto dov'era, e dov'è tuttora quella viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in una fogna. Lì c'era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi: a destra e a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce, abitate per lo più da lavandai. Renzo entra; passa; nessuno dè gabellini gli bada: cosa che gli parve strana, giacchè, da què pochi del suo paese che potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentito raccontar cose grosse dè frugamenti e dell'interrogazioni a cui venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla campagna. La strada era deserta, dimodochè, se non avesse sentito un ronzio lontano che indicava un gran movimento, gli sarebbe parso d'entrare in una città disabitata. Andando avanti, senza saper cosa si pensare, vide per terra certe strisce bianche e soffici, come di neve, ma neve non poteva essere; che non viene a strisce, nè, per il solito, in quella stagione. Si chinò sur una di quelle, guardò, toccò, e trovò ch'era farina. -Grand'abbondanza,- disse tra sé, -ci dev'essere in Milano, se straziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto. Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente campagna.- Ma, dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedestallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarli pani. Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. -Vediamo un po?che affare è questo,- disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente un pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. - È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: -così lo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo?- Dopo dieci miglia di strada, all'aria fresca della mattina, quel pane insieme con la maraviglia, gli risvegliò l'appetito. -Lo piglio?- deliberava tra sè: -poh! l'hanno lasciato qui alla discrezion dè cani; tant'è che ne goda anche un cristiano. Alla fine, se comparisce il padrone, glielo pagherò.- Così pensando, si mise in una tasca quello che aveva in mano, ne prese un secondo, e lo mise nell'altra; un terzo, e cominciò a mangiare; e si rincamminò, più incerto che mai, e desideroso di chiarirsi che storia fosse quella. Appena mosso, vide spuntar gente che veniva dall'interno della città, e guardò attentamente quelli che apparivano i primi. Erano un uomo, una donna e, qualche passo indietro, un ragazzetto; tutt'e tre con un carico addosso, che pareva superiore alle loro forze, e tutt'e tre in una figura strana. I vestiti o gli stracci infarinati; infarinati i visi, e di più stravolti e accesi; e andavano, non solo curvi, per il peso, ma sopra doglia, come se gli fossero state peste l'ossa. L'uomo reggeva a stento sulle spalle un sacco di farina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a ogni intoppo, a ogni mossa disequilibrata. Ma più sconcia era la figura della donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: una pentolaccia a due manichi. -e di sotto a quel pancione uscivan due gambe, nude fin sopra il ginocchio, che venivano innanzi barcollando. Renzo guardò più attentamente, e vide quel gran corpo era la sottana che la donna teneva per lembo, con dentro farina quanta ce ne poteva stare, e un po' di più; dimodochè, quasi a ogni passo, ne volava via una ventata. Il ragazzotto teneva con tutt'e due le mani sul capo un paniera colma di pani; ma, per aver le gambe più corte d suoi genitori, rimaneva a poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera perdeva l'equilibrio, e qualche pane cadeva. «Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei,» disse la madre, digrignando i denti verso il ragazzo. «Io non li butto via; cascan da sè: com'ho a fare?» rispose quello. «Ih! buon per te, che ho le mani impicciate,» riprese la donna, dimenando i pugni, come se desse una buona scossa al povero ragazzo; e, con quel movimento, fece volar via più farina, di quel che ci sarebbe voluto per fame i due pani lasciati cadere allora dal ragazzo. «Via, via,» disse l'uomo: «torneremo indietro a raccoglierli, o qualcheduno li raccoglierà. Si stenta da tanto tempo: ora che viene un po' d'abbondanza, godiamola in santa pace.» In tanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questi, accostatosi alla donna, le domandò: «dove si va a prendere il pane?»
   «Più avanti,» rispose quella; e quando furon lontani dieci passi, soggiunse borbottando: «questi contadini birboni verranno a spazzar tutti i forni e tutti i magazzini, e non resterà più niente per noi.» «Un po' per uno, tormento che sei,» disse il marito: «abbondanza, abbondanza.»
   Da queste e da altrettali cose che vedeva e sentiva, Renzo cominciò a raccapezzarsi ch'era arrivato in una città sollevata, e che quello era un giorno di conquista, vale a dire che ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza, dando busse in pagamento. Per quanto noi desideriamo di far fare buona figura al nostro povero montanaro, la sincerità storica ci obbliga a dire che il suo primo sentimento fu di piacere. Aveva così poco da lodarsi dell'andamento ordinario delle cose, che si trovava inclinato ad approvare ciò che lo mutasse in qualunque maniera. E del resto, non essendo un uomo superiore al suo secolo, viveva anche lui in quell'opinione o in quella passione comune, che la scarsezza del pane fosse cagionata dagl'incettatori e da' fornai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle mani l'alimento che essi, secondo quell'opinione, negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo. Pure, si propose di star fuori del tumulto, e si rallegrò d'esser diretto a un cappuccino, che gli troverebbe ricovero, e gli farebbe da padre. Così pensando, e guardando intanto i nuovi conquistatori che venivano carichi di preda, fece quella po' di strada che gli rimaneva per arrivare al convento.
   Dove ora sorge quel bel palazzo, con quell'alto loggiato, c'era allora, e c'era ancora non son molt'anni, una piazzetta, e in fondo a quella la chiesa e il convento dè cappuccini, con quattro grand'olmi davanti. Non ci rallegriamo, non senza invidia, con què nostri lettori che non han visto le cose in quello stato: ciò vuol dire che son molto giovani, e non hanno avuto tempo di far molte corbellerie. Renzo andò diritto alla porta, si ripose in seno il mezzo pane che gli rimaneva, levò fuori e tenne preparata in mano la lettera, e tirò il campanello.
   S'aprì uno sportellino che aveva una grata, e vi comparve la faccia del frate portinaio a domandar chi era.
   «Uno di campagna, che porta al padre Bonaventura una lettera pressante del padre Cristoforo. »
   «Date qui,» disse il portinaio, mettendo una mano alla grata.
   «No, no,» disse Renzo: «gliela devo consegnare in proprie mani.»
   «Non è in convento.»
   «Mi lasci entrare, che l'aspetterò.»
  «Fate a mio modo», rispose il frate: «andate a aspettare in chiesa, che intanto potrete fare un po' di bene. In convento, per adesso, non s'entra.» E detto questo, richiuse lo sportello.
   Renzo rimase lì, con la sua lettera in mano. Fece dieci passi verso la porta della chiesa, per seguire il consiglio dei portinaio; ma poi pensò di dar prima un'altra occhiata al tumulto.
   Attraversò la piazzetta, si portò sull'orlo della strada, e si fermò con le braccia incrociate sul petto, a guardare a sinistra verso l'interno della città, dove il brulichìo era più folto e più rumoroso. Il vortice attrasse lo spettatore. -Andiamo a vedere, disse tra sè; tirò fuori il suo mezzo pane, e sbocconcellando, si mosse verso quella parte. Intanto che s'incammina, noi racconteremo, più brevemente che sia possibile, le ragioni e il pricipio di quello sconvolgimento.


XII
AssFornoGrucce


   Era quello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla nè affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini, i quali, invece di procacciar col lavoro pane per sè e per gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per carità. Ho detto: più dell'ordinario; perchè le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e con un'insensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle truppe alloggiate nè paesi, condotta che i dolorosi documenti di què tempi uguagliano a quella d'un nemico invasore, altre cagioni che non è qui il luogo di mentovare, andavano già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d'un mal cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni per l'esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vòto, che la penuria si fece subito sentite, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.
    Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un'opinione nè molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno nè in cielo, nè in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza. GI'incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero poco o assai, o che avessero il nome d'averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l'abbominio della moltitudine male e ben vestita. Si diceva di sicuro dov'erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s'indicava il numero dè sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell'immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; nè quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano. S'imploravan da' magistrati què provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, ed a far ritornar l'abbondanza. I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d'alcune derrate, d'intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, nè di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d'attirarne la dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza dè rimedi, e ne sollecitava ad alte grida dè più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l'uomo secondo il suo cuore.
   Nell'assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l'assedio di Casale del Monferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui vide, e chi non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sè una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta (così chiamano qui la tariffa in materia di, commestibili), fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto trentatre lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo.
   Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d'una volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma all'esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo finalmente convertito in legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per celia. Accorse subito ai forni, a chieder pane al prezzo tassato; e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia, che danno la passione, la forza e la legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non lo domandate. Intridere, dimenare, infornare e sfornre senza posa; perché il popolo, sentendo in confuso che l'era una cosa violenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse essere. Ma, da una parte i magistrati che intimavan pene, dall'altra il popol che voleva essere servito, e, punto punto che qualche fornaio indugiasse, pressava e brontolava, con quel suo vocione, e minacciava una di quelle sue giustizia, che sono delle peggio che si facciano in questo mondo; non c'era redenzione, bisognava rimenare, informare, sfornare e vendere. Però, a farli continuare in quell'impresa, non bastava che fosse lor comandato, nè che avessero molta paura; bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non avrebbero più potuto. Facevan vedere ai magistrati l'iniquità e l'insopportabilità del carico imposto loro, protestavano di voler gettar la pala nel forno, e andarsene; e intanto tiravano avanti come potevano, sperando, sperando che, una volta o l'altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ragione. Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un uomo di carattere, rispondeva che i fornai s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato, che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza[2]; che anche si vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti.
   0 fosse veramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o che, anche conoscendo dagli effetti l'impossibilità di mantener quel suo editto, volesse lasciare agli altri l'odiosità di rivocarlo; giacchè, chi può ora entrar nel cervello d'Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva stabilito.
   Finalmente i decurioni (un magistrato municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo scorso) informaron per lettera il govematore, dello stato in cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che le facesse andare.
   Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra, fece ciò che il lettore s'immagina certamente: nominò una giunta, alla quale conferì l'autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l'altra. I deputati si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che non c'era da far altro, conclusero di rincarate il pane.
   I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì.
   La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milano le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con què ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca.[3] Migliaia d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe.
   Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applaudivano; questo faceva al più vicino la stessa domanda ch'era allora stata fatta a lui; quest'altro ripeteva l'esclamazione che s'era sentita risonare agli orecchi; per tutto lamenti, minacce, meraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.
   Non mancava altro che un'occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò molto. Uscivano, sul far dei giorno, dalle botteghe dè fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portane alle solite case. Il primo comparire d'uno di què malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso in una polveriera. «Ecco se c'è il pane!» gridarono cento voci insieme. «Sì, per i tiranni, che notano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di fame,» dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta, e dice: «lascia vedere». Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne. «Giù quella gerla,» si grida intanto.
   Molte mani l'afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde all'intorno. «Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi,» dice il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla, gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe. Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone ì più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con glì altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi[4]. «Al forno! al forno!» si grida.
   Nella strada chiamata la Corsia dè Servi, c'era, e c'è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono[5]. A quella parte s'avventò la gente. Quelli della bottega stavano interrogando il garzone tornato scarico, il quale, tutto sbigottito e abbaruffato, riferiva balbettando la sua trista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo insieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della masnada.
   Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bottega, e appuntellano i battenti. Le gente comincia a affollarsi di fuori, e a gridare: «pane! pane! aprite! aprite!»
   Pochi momenti dopo, arriva il capitano di giustizia, con una scorta d'alabardieri. «Largo, largo, figliuoli: a casa, a casa; fate luogo al capitano di giustizia,» grida lui e gli alabardieri. La gente, che non era ancor troppo fitta, fa un po' di luogo; dimodochè quelli poterono arrivare, e postarsì. insieme, se non in ordine, davanti alla porta della bottega.
   «Ma figliuoli,» predicava di lì il capitano, «che fate qui? A casa, a casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il re nostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate a casa. Da bravi! Che diamine volete far qui, così ammontatì? Niente di bene, nè per l'anima, né per il, corpo. A casa, a casa.»
   Ma quelli che vedevan la faccia del dicitore, e sentivan le sue parole, quand'anche avessero voluto ubbidire, dite un poco in che maniera avrebber potuto, spinti com'erano, e incalzati da quelli di dietro, spinti anch'essi da altri, come flutti da flutti, via via fino all'estremità della folla, che andava sempre crescendo. Al capitano, cominciava a mancargli il respiro. «Fateli dare addietro ch'io possa riprender fiato,» diceva agli alabardieri: «ma non fate male a nessuno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro.»
   «Indietro! indietro!» gridano gli alabardieri, buttandosi tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli con l'aste dell'alabarde. Quelli urlano, si tirano indietro come possono; danno con le schiene nè petti, co' gomiti nelle pance, co' calcagni sulle punte dè piedi a quelli che son dietro a loro: si fa un pigio, una calca, che quelli che si trovavano in mezzo, avrebbero pagato qualcosa a essere altrove. Intanto un po' di vòto s'è fatto davanti alla porta: il capitano picchia, ripicchia, urla che gli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestre, scendon di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli alabardieri, che si ficcan dentro anch'essi l'un dopo l'altro, gli ultimi rattenendo la folla con l'alabarde. Quando sono entrati tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella; il capitano sale di corsa, e s'affaccia a una finestra. Uh, che formicolato!
   «Figliuoli,» grida: molti si voltano in su; «figliuoli, andate a casa. Perdono generale a chi torna subito a casa.»
   «Pane! pane! aprite! aprite!» eran le parole più distinte nell'urlìo orrendo, che la folla mandava in risposta.
   «Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo. Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera. Eh!... eh! che fate laggiù! Eh! a, quella porta! Oibò oibò! Vedo, vedo: giudizio! badate bene! è un, delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh! smettete con què ferri; giù quelle mani. Vergogna! Voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati in tutto il mondo! Sentite, sentite: siete sempre stati buoni fi.. Ah canaglia!»
    Questa rapida mutazione di stile fu cagionata da una pietra che, uscita dalle mani d'uno di què buoni figliuoli, venne a batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica. «Canaglia! canaglia!» continuava a gridare, chiudendo presto presto la finestra, e ritirandosi.
   Ma quantunque avesse gridato quanto n'aveva in canna, le sue parole, buone e cattive, s'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'aria, nella tempesta delle grida che venivan di giù. Quello poi che diceva di vedere, era un gran lavorare di pietre, di ferri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi per 1a strada), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle finestre, per svellere l'inferriate: e già l'opera era molto avanzata.
   Intanto, padroni e garzoni della bottega, ch'erano alle finestre dè piani di sopra, con una munizione di pietre (avranno probabilmente disselciato un cortile), urlavano e facevan versacci a quelli di giù, perchè smettessero; facevan vedere le pietre accennavano di volerle buttare. Visto ch'era tempo perso cominciarono a buttarle davvero. Neppur una ne cadeva in solo; giacchè la calca era tale che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra.
   «Ah birboni! ah furfantoni! È questo il pane, che date alla povera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora!» s'urlava di giù.
   Più d'uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti. Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l'inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi.
   Quelli di dentro, vedendo la mala parata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati nè cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su pè tetti, come i gatti.
   La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il pane è messo a ruba. Qualcheduno in vece corre al banco, butta giù la serratura, agguanta le ciotole, piglia a manate, intasca, ed esce carico di quattrini, per tornar poi a rubar pane, se ne rimarrà.
   La folla si sparge nè magazzini. Metton mano ai sacchi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un carico da potersi portare, butta via una parte della farina: chi, gridando: «aspetta, aspetta», si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il cappello, per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una madia, e prende un pezzo di pasta, che s'allunga, e gli scappa da ogni parte; un altro, che ha conquistato un burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene: uomini, donne, fanciulli, spinte, rispinte, urli, e un bianco polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto vela e annebbia. Di fuori, una calca composta di due processioni opposte, che si rompono e s'intralciano a vicenda, di chi esce con la preda; è di chi vuol entrare a farne.
   Mentre quel forno veniva così messo sottosopra, nessun altro della città era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno la gente accorse in numero tale da potere intraprender tutto; in alcuni, i padroni avevan raccolto degli ausiliari, e stavan sulle difese; altrove, trovandosi in pochi, venivano in certo modo a patti: distribuivan pane a quelli che s'eran cominciati a affollare davanti alle botteghe, con questo che se n'andassero. E quelli se n'andavano, non tanto perchè fosser soddisfatti, quanto perchè gli alabardieri e la sbirraglia, stando alla larga da quel tremendo forno delle grucce, si facevan però vedere altrove, in forza bastante a tenere in rispetto i tristi che non fossero una folla. Così il trambusto andava sempre crescendo a quel primo disgraziato forno; perchè tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far qualche bell'impresa, correvan là, dove gli amici erano i più forti , e l'impunità sicura.
   A questo punto eran le cose, quando Renzo, avendo ormai sgranocchiato il suo pane, veniva avanti per il borgo di porta orientale, e s'avviava, senza saperlo, proprio al luogo centrale del tumulto. Andava, ora lesto, ora ritardato dalla folla; e andando, guardava e stava in orecchi, per ricavar da quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia più positiva dello stato delle cose. Ed ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.
   «Ora è scoperta», gridava uno, «l'impostura infame di què birboni, che dicevano che non c'era nè pane, nè farina, nè grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere. Viva l'abbondanza!»
   «Vi dico io che tutto questo non serve a nulla,» diceva un altro: «è un buco nell'acqua; anzi sarà peggio, se non si fa una buona giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far morir la povera gente, come mosche. Già lo dicono che siam troppi[6]; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certo, per averlo sentito dir io, con quest'orecchi, da una mia comare, chè è amica d'un parente d'uno sguattero d'uno di què signori.»
   Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su' capelli arruffati e insanguinati. E qualche vicino, come per consolarlo, gli faceva eco.
   «Largo, largo, signori, in cortesia; lascin passare un povero padre di famiglia, che porta da mangiare a cinque figliuoli.» Così diceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; e ognuno s'ingegnava di ritirarsi, per fargli largo.
   «Io?» diceva un altro, quasi sottovoce, a un suo compagno: «io me la batto. Son uomo di mondo, e so come vanno queste cose. Questi merlotti che fanno ora tanto fracasso, domani o doman l'altro, se ne staranno in casa, tutti pieni di paura. Ho già visto certi visi, certi galantuomini che giran, facendo l'indiano, e notano chi c'è e chi non c'è: quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca.»[7]
   «Quello che protegge i fornai,» gridava una voce sonora, che attirò l'attenzione di Renzo, «è il vicario di provvisione.»
   «Son tutti birboni,» diceva un vicino.
   « Sì; ma il capo è lui,» replicava il primo.
   Il vicario di provvisione, eletto ogn'anno dal governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio dè decurioni, era il presidente di questo, e del tribunale di provvisione, il quale, composto di dodici, anche questi nobili, aveva, con altre attribuzioni, quella principalmente dell'annona. Chi occupava un tal posto doveva necessariamente, in tempi di fame e d'ignoranza, esser detto l'autore dè mali: meno che non avesse fatto ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle sue facoltà, se anche fosse stata nelle sue idee.
   «Scellerati!» esclamava un altro: «si può far di peggio? sono arrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchio rimbambito, per levargli il credito, e comandar loro soli. Bisognerebbe fare una gran stia, e metterli dentro, a viver di vecce e di loglio, come volevano trattar noi.»
   «Pane eh?» diceva uno che cercava d'andar in fretta: «sassate di libbra: pietre di questa fatta. che venivan giù come la grandine. E che schiacciata di costole! Non vedo l'ora d'esser a casa mia.»
   Tra questi discorsi, dai quali non saprei dire se fosse più informato o sbalordito, e tra gli urtoni, arrivò Renzo finalmente davanti a quel forno. La gente era già molto diradata, dimodochè potè contemplare il brutto e recente soqquadro. Le mura scalcinate e ammaccate da sassi, da mattoni, le finestre sgangherate, diroccata la porta.
   -Questa poi non,è una bella cosa,- disse Renzo tra se: -se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Nè pozzi?-[8]
   Ogni tanto, usciva dalla bottega qualcheduno che portava un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d'una gramola, una panca, una paniera un libro di conti, qualche cosa in somma di quel povero forno; e gridando: «largo, largo », passava tra la gente. Tutti questi s'incamminavano dalla stessa parte, e a un luogo convenuto, si vedeva.
   -Cos'è quest'altra storia?- pensò di nuovo Renzo; e andò dietro a uno che, fatto un fascio d'asse spezzate e di schegge, se lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada che costeggia il fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli scalini che c'erano, e da poco in qua non ci son più. La voglia d'osservar gli avvenimenti non potè fare che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse guardare in su, con la bocca aperta. Studiò poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso come per guida; voltò il canto, diede un'occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo della piazza. La gente era più fitta quanto più s'andava avanti, ma al portatore gli si faceva largo: egli fendeva l'onda dei popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, arrivò con lui al centro della folla. Lì c'era uno spazio voto, e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie degli attrezzi detti di sopra. All'intomo era un batter di mani e di piedi, un frastono di mille grida di trionfo e d'imprecazione.
   L'uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il fumo cresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgon più forti. «Viva l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Moia la carestia! Crepi la,Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!»
   Veramente, la distruzion dè frulloni e delle madie, la devastazion dè forni, e lo scompiglio dè fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una dì quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva. Però, senza essere un gran metafisico, un uomo ci arriva talvolta alla prima, finchè nuovo, nella questione; e solo a forza di parlarne, e di sentime parlare, diventerà inabile anche a intenderle.[9] A Renzo in fatti quel pensiero gli era venuto, come abbiam visto, da principio, e gli tornava ogni momento. Lo tenne per altro in sé; perchè, di tanti visi, non ce n'era uno che sembrasse dire: fratello, se fallo, correggimi, che l'avrò caro.
   Già era di nuovo finita la fiamma; non si vedeva più venir nessuno con altra materia, e la gente cominciava a annoiarsi; quando si sparse la voce, che, al Cordusio (una piazzetta o un crocicchio non molto distante di lì), s'era messo l'assedio a un forno. Spesso, in simili circostanze, l'annunzio d'una cosa la fa essere. Insieme con quella voce, si diffuse nella moltitudine una voglia di correr là: «io vo; tu, vai? vengo; andiamo», si sentiva per tutto: la calca si rompe, e diventa una processione.
   Renzo rimaneva indietro, non movendosi quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva intanto consiglio in cuor suo, se dovesse uscir dal baccano, e ritornare al convento, in cerca del padre Bonaventura, o andare a vedere anche quest'altra. Prevalse di nuovo la curiosità. Però risolvette di non cacciarsi nel fitto della mischia, a farsi ammaccar l'ossa, o a risicar qualcosa di peggio; ma di tenersi in qualche distanza, a osservare. E trovandosi già un poco al largo, si levò di tasca il secondo pane, e attaccandoci un morso, s'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.
   Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e stretta di Pescheria vecchia, e di là, per quell'arco a sbieco, nella piazza dè Mercanti. E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell'edìfizio chiamato allora il collegio dè dottori, non dessero un'occhiata alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo Il, che, anche dal marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì per dire: ora vengo io,marmaglia.
   Quella statua non c'è più, per un caso singolare. Circa cento settant'anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto.
   Così accomodata stette forse un par d'anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove. Chi l'avesse detto'a Andrea Biffi, quando la scolpiva!
   Dalla piazza dè Mercanti, la marmaglia insaccò, per quell'altr'arco, nella via de fustagnai, e di lì si sparpagliò nel Cordusio.
   Ognuno, al primo sboccarvi, guardava subito verso il forno ch'era stato indicato. Ma in vece della moltitudine d'amici che s'aspettavano di trovar lì già al lavoro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche distanza della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star pronti a difendersi. A quella vista, chi si meravigliava, chi si maravigliava, chi sagrava, chi rideva; chi si voltava, per informar quelli che arrivavan via via; chi si fermava, chi voleva tornare indietro, chi diceva: «avanti, avanti». C'era un incalzare e un rattenere, come un ristagno, una titubazione, un ronzio confuso di contrasti e di consuete. In questa, scoppiò di mezzo alla folla una maledetta voce: «c'è qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e a dare il sacco». Parve il rammentarsi come d'un concerto preso, piuttosto che l'accettàzione d'una proposta. «Dal vicario! dal vicario!» è il solo grido che si possa sentire. La turba, si move, tutta insieme, verso la strada dov'era la casa nominata in un così cattivo punto.


[1] Parte del capitolo XI e tutto il capitolo XII - © 1964 G. C. Sansoni Editore, Firenze. A cura di Giovanni Getto. Sono state omesse le note del curatore dell'edizione scolastica, per non appesantirne la lettura.
[2]Forse che si è mai sentito, l'Antonio Ferrer di turno, il mezzo busto televisivo, o il giornalista della carta stampata, proporre un ragionamento simile "s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato, che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza", a categorie diverse dai fornai? Magari ai petrolieri, alle compagnie telefoniche, ai fornitori di energie, agli stati stessi (che tassano l'acqua da bere, un bene più vitale del pane giacché in soli cinque giorni senz'acqua si muore sicuro, con un'IVA al 20%), ai grandi banchieri, ai produttori di farmaci, di portar pazienza, per un poco di tempo, di continuare a lavorare senza guadagnare, o guadagnando meno, durante una crisi economica, "che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza". No, tutti costoro devono guadagnare, e bene.
   Nessuno osa proferir parole simili a queste categorie forti economicamente; ma al fornaio, lavoratore notturno, che lavora duro anche col proseguire del giorno, sì: si pretenderebbe da lui che lavorasse in perdita, perché, meschino, tratta una merce "popolare". Vergognatevi giornalisti venduti! I nostri antenati, che han lottato per la libertà di stampa, si rigiran nei loro sepolcri e hanno compassione di voi che vi fregiate di un titolo che non vi spetta.
[3] O il Manzoni sapeva già al suo tempo, come lavorano i disinformatori professionisti, oppure sapeva che in casi simili, quando la folla è scontenta, per tante ragioni, c'è sempre qualcuno disposto a vendersi per trovare capri espiatori -i fornai, nella fattispecie- e fomentare rivolte. A dispetto del fatto che voglian farci credere, e molti ci credono, ora come ai tempi dell'assalto ai forni del 1628, che storia ed economia siano frutto del caso, e non già progettate a dovere da chi ci guadagna sempre in guerre e carestie(=crisi economiche). Si provi a legger la Bibbia con occhio attento a questa riflessione! (Sottolineatura e nota dell'autore del sito.)
[4]Vedi nota 3. Ci deve per forza essere, nel concetto stesso di "pane", una tonalità fortemente emotiva, che tocca corde intime dell'animo, molto facilmente infiammabili, se è così facile spingere le persone, grazie a questo concetto, a compiere azioni fortemente irrazionali, come assaltare i forni, distruggere ciò che serve a fare il pane, oppure a comprarsi una assurda "macchina del pane".
[5]El prestin di scansc.
   (Questa è l'unica nota dell'edizione citata, che è contrassegnata dalla lettera "a", invece che dal numero. L'ho riportata pensando fosse dell'autore, il quale mostra qui il suo disprezzo per i dialetti. Dato che mi ritengo uno strenuo difensore di questi ultimi, allo scopo di voler difendere le singole identità culturali da una globalizzazione e un appiattimento culturale calati dall'alto. Anche l'uniformamento al gusto del "pane" da macchinetta è un esempio di appiattimento culturale, a fronte della varietà della produzione dei fornai italiani.) Sono totalmente in disaccordo col Manzoni, quando dice che "l'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono". L'alfabeto non appartiene alla sola lingua italiana, visto che lo stesso alfabeto può comporre indifferentemente il francese, l'inglese, lo spagnolo, eccetera, e che la riproduzione dei suoni di una lingua non è che una convenzione di pronuncia. Così non ho mai visto nessuna difficoltà a scrivere in piemontese; ed immagino non ve ne siano a scrivere il milanese, che tanto assomiglia, per certi versi e vocaboli, al nostro idioma piemontese.
[6]Chi non l'ha sentita questa, anche ai nostri giorni? Deve essere una vera ossessione di chi comanda al mondo, al punto che, di tanto in tanto, trovano il modo di fare una guerra per ridimensionarci. La propaganda, anche in questo senso, ha sortito gli effetti desiderati sopratutto fra la generazione che ci ha preceduto, quei convinti genitori di figli unici, che son riusciti anche a sconvolgere le statistiche al punto che essi, in numero doppio dei loro figli lavoratori contribuenti, a godersi la pensione d'anzianità, hanno contribuito a far fallire l'istituto dell'INPS, tanto che, quando è poi giunta l'ora per quei loro figli, di godersi la meritata pensione, si sono visti la meta allontanata d'ufficio.
[7]Pochi giorni prima del G8 di Genova del 2001, un piccolo trafiletto sul giornale, pochissime righe, La Stampa mi pare, riportava la presenza di quei personaggi, "certi visi, certi galantuomini che giran, facendo l'indiano," tra la folla. Il giornale riportava essere agenti dei servizi americani -e qui mi pento non avere conservato il trafiletto. Gli effetti della presenza di costoro si sono poi constatati durante e dopo lo svolgimento del G8 in questione.
[8]Vedi nota 4.
[9]Ecco un altro esempio di cose irrazionali alle quali la gente può essere spinta lavorando verbalmente attorno al concetto fortemente emotivo di pane, o alla sua mancanza, come detto alla nota 3. Qui il comportamento della folla è evidentemente paradossale perché distruggendo i forni, si aliena ogni possibilità, anche remota di far venire il pane. Questo mi fa venire in mente, che se la mancanza di pane irrita la folla, è proprio per il fatto che esso sia l'ultima spiaggia, l'ultima risorsa, in caso di crisi economica: l'alimento più a buon mercato. La folla non se la prende con i macellai, ad esempio, perché la loro merce non è alla portata della povera gente, ma solo dei ricchi. Si è mai sentito di un povero lavoratore, un uomo di fatica, che avesse la gotta, malattia dei ricchi e nobili nullafacenti di tutti i tempi.
   A questo proposito, mi viene in mente un aneddoto che si raccontava spesso nella mia famiglia, a testimonianza di quanto spesso si mangiasse carne. Mio nonno mandava mio padre che era il più piccolo a fare le commissioni. In occasione del Natale o della festa patronale, gli raccomandava: «disije ca 't daga 'n toc ëd boujì coma la date l'an pasà.»
(Digli che ti dia un pezzo di bollito come ti diede l'anno scorso) -E visto che si può scrivere il dialetto?


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