"Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda."
Horacio Verbitzky

Blog di Giovanni Chifelio

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19 marzo 2012
   La cultura è, o dovrebbe essere, un corpus di conoscenze utili all'uomo per la sua sopravvivenza nel suo ambiente fisico, e per destreggiarsi nel suo universo sociale.
   Per quanto riguarda il primo aspetto, più semplice, la conoscenza facilita il procacciamento del cibo e dei materiali utili a ripararsi dalle intemperie; la difesa dai pericoli, l'accensione del fuoco, eccetera: come ho detto altrove, citando Jean Jacques Rousseau [1], tutte le scoperte utili in questo senso sono state fatte nel periodo neolitico, tutto il resto è superfluo; per quanto riguarda il suo aspettto sociale le cose sono un tantino più complicate.
   Col trascorrere del tempo, di alcune conoscenze che hanno dato origine a determinati comportamenti, tabù, riti, se ne perde l'origine, il significato e lo scopo, ma si continua ugualmente ad osservarne i precetti: le conoscenze originali sono perse, ma esse continuano ad ifluenzare il comportamento dei singoli individui e del gruppo sociale.
   Da un punto di vista sociologico, si potrebbe paragonare questa parte "dimenticata" della cultura a ciò che è il cosiddetto inconscio freudiano per l'individuo -e mi risulta che sia proprio il tipo di interpretazione che ne ha dato un diretto allievo di Sigmund Freud, Carl Gustav Jung [2], chiamandolo "inconscio collettivo" [3].
   Gli esempi di queste parti della cultura la cui memoria è andata "perduta" nel tempo, sono quelle che hanno poi dato origine ai proverbi, agli usi e costumi, ai miti, alle religioni dei popoli. Questo almeno nei popoli "primitivi". Quando invece siamo di fronte a culture complesse e articolate, con religioni strutturate, come cristianesimo, islam, buddhismo, ebraismo, le cose stanno diversamente.
   La civiltà in cui una persona nasce è in grado di influenzare l'atteggiamento ed il pensiero dell'individuo riguardo a determinati argomenti. Il gruppo sociale già plasmato in questo senso, favorisce l'insorgere di pensieri, associazioni di idee, la soggezione a determinati tabù, l'assoggettamento a determinate regole sociali, il sorgere o l'evitare determinati conflitti, in modo di fare di lui un membro del gruppo accettato. Comportamenti sgraditi vengono scoraggiati anche se magari nessuno nel gruppo è in grado di ricordare il motivo per cui taluni comportamenti sono disapprovati mentre altri non lo sono: gli individui interrogati dagli antropologi semplicemente rispondono «si è sempre fatto così», oppure si trincerano dietro un «non lo so». L'individuo in questo modo, è libero di muoversi e pensare solo scorrendo su accettati e consolidati "binari" culturali.
   Per fare un esempio pratico che riguarda noi nel nostro ambito, si riteneva, all'epoca della mia infanzia, che fosse semplicemente sbagliato usare la mano sinistra per scrivere o portarsi il cibo alla bocca; oppure che fosse una buona cosa che noi ragazzi leggessimo i fumetti di Walt Disney e non i fumetti, si diceva allora, con la famigerata "K", dove c'era sesso e violenza.    In realtà, se ci pensiamo bene, per coloro che sono più abili con la sinistra, dover imparare ad usare la destra è esattamente difficoltoso quanto per i destrimani imparare ad usare la sinistra, per fare le stesse cose che si fanno spontaneamente con la mano prevalente; riguardo alle nostre letture, c'era in quei fumetti di Disney un indottrinamento occulto ad una ideologia socio economica, dove regnava un Paperone molto ricco che nuotava nel denaro e sfruttava un Paperino estremamente povero per le imprese più faticose, meno remunerative grazie anche all'astuzia truffaldina propria dello zio. Anche se a me personalmente Paperon De Paperoni appariva oltremodo disumano, nulla nel fumetto, nella linea editoriale della Disney metteva in discussione che le cose dovessero andare proprio così: che ci fossero pochi personaggi ad accaparrarsi tutta la ricchezza del mondo. Inoltre, in quei fumetti erano tutti zii e nipoti, mai rapporti più intimi come genitori e figli, quasi una preparazione intellettuale allo smembramento della famiglia, come cellula fondamentale della società. Proprio una preparazione al mondo adulto nella nostra civiltà avanzata, dove un pugno di uomini sfrutta e domina l'umanità intera.    In altri termini, la cultura in cui siamo nati e viviamo è una gabbia mentale, una specie di prigione che condiziona e limita il nostro pensiero. Tutti noi siamo schiavi-condizionati proprio laddove ci CREDIAMO più liberi: nella sfera privata del nostro pensiero.
   Ho volutamente tirato in ballo i fumetti proprio per evidenziare che il condizionamento mentale può avvenire ovunque, anche laddove sembra essere il territorio della neutralità culturale per eccellenza: un assurdo ipotetico mondo di paperi, cani e maiali, dove l'uomo è assente ma è rappresentato dagli animali stessi, come a volersi far beffa della sua umanità.
   Conoscendo con quanti e quali mezzi è possibile indirizzare le giovani menti in sviluppo evolutivo, qualcuno più scaltro degli altri potrebbe approfittarsene. Con il passare del tempo, dall'uomo neolitico, collaborativo e ugualitario, si sviluppano individui più scaltri della media, i quali, considerando l'agone fisico della giungla, caccia, pesca, difesa dalle belve feroci, troppo faticoso per loro, quanto inutile per raggiungere una qualche forma di potere all'interno del loro gruppo, si specializzano in "cultura".


   "...È dubbio che i Nambikwara sappiano scrivere; né d'altronde disegnano ad eccezione di qualche incisione a zig-zag o punteggiata sulle zucche. Malgrado ciò distribuii, come avevo fatto presso i Caduvei, fogli di carta e matite di cui da principio non fecero alcun uso; poi un giorno vidi che tutti erano intenti a tracciare sulla carta delle linee orizzontali ondulate. Che cosa volevano fare? Dovetti arrendermi all'evidenza: essi scrivevano, o più esattamente cercavano di fare della loro matita, lo stesso uso che ne facevo io, il solo per essi concepibile poiché non avevo ancora provato a distrarrli con i miei disegni. Nella maggior parte dei casi, lo sforzo si fermò lì; ma il capo della banda vedeva più lontano. Lui solo, senza dubbio aveva compreso la funzione della scrittura. Richiestomi un bloc-notes, ci mettiamo a lavorare insieme, ugualmente attrezzati. Egli non mi comunica verbalmente le informazioni che gli chiedo, ma traccia sulla carta delle linee sinuose e me le presenta, come se io dovessi leggere la sua risposta. è preso lui stesso dalla sua commedia; ogni volta che la sua mano completa una linea, la esamina ansiosamente come se dovesse scaturirne un significato, e la delusione si dipinge sul suo volto. Ma non si rassegna; ed è tacitamente inteso fra noi che il suo manoscritto ha un senso segreto che io fingo di decifrare; il commento verbale segue quasi immediatamente, e mi dispensa dal reclamare gli schiarimenti necessari.
   Adesso, appena riunita tutta la sua gente, tirò fuori da una gerla un foglio coperto di linee tortuose che fece finta di leggere e sul quale cercava, con una esitazione affettata, la lista degli oggetti che dovevo dare in cambio dei regali ricevuti: a questo, contro un arco e delle frecce, una sciabola da combattimento! a quest'altro, delle perle per le sue collane!...Questa commedia si protrasse per due ore. Che cosa sperava? Di ingannare se stesso, forse; ma soprattutto di stupire i suoi compagni, di persuaderli che le merci passavano sotto il suo controllo, che aveva ottenuto l'alleanza del bianco e che partecipava dei suoi segreti. [...] La scrittura aveva fatto la sua comparsa presso i Nambikwara; ma non come si sarebbe potuto immaginare, dopo esercitazioni laboriose. Il suo simbolo era stato adottato, mentre la sua realtà rimaneva estranea. E questo, in vista di un fine sociologico piuttosto che intellettuale. Non si trattava di conoscere, di ritenere o di comprendere, ma di accrescere il prestigio e l'autorità di un individuo -o di una funzione- a spese altrui. Un indigeno ancora all'età della pietra aveva indovinato che quel grande mezzo di comprensione, pur non potendo comprenderlo, poteva almeno servire per altri fini. Dopo tutto, per millenni e anche al giorno d'oggi, in gran parte del mondo, la scrittura esiste come istituzione, in società i cui membri, in gran parte, non ne posseggono il meccanismo. I villaggi in cui ho vissuto sulle colline del Chittagong nel Pakistan orientale, sono popolati di analfabeti; in ognuno di questi villaggi esiste uno scriba che adempie le sue funzioni presso gli individui e presso la collettività. Tutti conoscono la scrittura e ne fanno uso al bisogno, attraverso un mediatore estraneo col quale comunicano oralmente. Ora, lo scriba raramente è un funzionario o un impiegato del gruppo: la sua scienza si accompagna alla potenza, tanto che lo stesso individuo riunisce spesso le funzioni di scriba e di usuraio; non solo perché ha bisogno di leggere e scrivere per esercitare la sua industria, ma perché si trova così ad essere a doppio titolo, colui che «ha presa» su gli altri.
   La scrittura è una strana cosa. Potrebbe sembrare che la sua apparizione dovesse determinare necessariamente cambiamenti profondi nelle condizioni di esistenza dell'umanità; e che queste trasformazioni dovrebbero essere soprattutto di natura intellettuale. Il possesso della scrittura aumenta prodigiosamente la capacità degli uomini di preservare la conoscenza. Si può considerarla facilmente come una memoria artificiale, il cui sviluppo dovrebbe accompagnarsi ad una migliore coscienza del passato, e quindi a una maggiore possibilità di organizzare il presente e l'avvenire. Dopo aver eliminato tutti i criteri proposti per distinguere la barbarie dalla civiltà, si vorrebbe almeno conservare questo: popoli con o senza scrittura; gli uni capaci di accumulare le acquisizioni antiche, e che progrediscono sempre più rapidamente verso il fine che si sono prefissi; gli altri, impotenti nel ricordare il passato oltre i limiti della memoria individuale, e che rimangono prigionieri di una storia fluttuante, priva di origine e della durevole coscienza di una meta. [4]
   Ciononpertanto, nulla di ciò che sappiamo della scrittura e del suo ruolo nell'evoluzione, giustifica una tale concezione. Troviamo infatti, durante il neolitico, una delle fasi più creatrici della storia dell'umanità, alla quale si deve far risalire l'origine dell'agricoltura, dell'addomesticamento degli animali e di altre arti. Per arrivarci, è stato necessario che, per millenni, piccole collettività umane osservassero, sperimentassero e trasmettessero il frutto delle loro riflessioni. Questa impresa si è svolta con un rigore e una continuità resa evidente dal successo, allorché la scrittura era ancora sconosciuta. [5]

   Ho citato questo lungo brano di Claude Levi Strauss per meglio documentare come normalmente succede, che qualcuno più intelligente della media, pensi ad acquisire potere sul suo prossimo, in modo da poter sfruttare il suo lavoro, e vivere da parassita sulla massa di coloro che non hanno le stesse sue ambizioni di dominio.
   Di fatto questo è accaduto in tutte le culture "evolute": qualcuno ha capito che se si indirizzano i pensieri e le credenze, soprattutto dei bambini piccoli, ma anche degli adulti del popolo, che vengono considerati, da coloro che dirigono cultura e società, una sorta di "bambinoni" cresciuti, i quali possono essere spinti a fare qualunque cosa possa essere utile a chi detiene il potere, soprattutto quando sono in gruppo, in massa. Addirittura i popoli sono considerati "masse". Il parallelo con la fisica newtoniana, dove la massa in movimento produce lavoro, non è casuale.
   Con queste conclusioni, vado chiudendo un cerchio di riflessioni, durate almeno un ventennio, riflessioni sorte da una meta-domanda di Gualtiero Harrison, durante il colloquio per un esame di Antropologia culturale, presso il corso di laurea in psicologia dell'Università di Padova: «Che cosa è la cultura e chi la produce?»
   Allora, giovane studente lavoratore, diedi una risposta impacciata e insoddisfacente; oggi credo di poter dire che ogni uomo è potenzialmente un produttore di cultura, ma che alcuni uomini vigilano affinché non accada che a tutti sia concesso di produrre cultura "durevole" e destinata a propagarsi agli altri uomini, sopratutto se produce cultura che essi non condividono, perché la cultura indirizza la società verso determinati obiettivi.
   I gruppi umani devono darsi delle regole per poter avere una società ordinata e prevedibile, altrimenti sarebbe il caos; la gente si ammazzerebbe per un nonnulla, prenderebbe le cose personali degli altri. Per fare questo, occorre che le regole siano accettate da tutti. Affinché questo accada, i membri del gruppo sociale devono temere che succeda loro qualche cosa di brutto se infrangono le regole. è solitamente per questo che le regole devono essere, o apparire come emanate da entità sovrumane: dei, spiriti o demoni, qualunque tipo di entità non raggiungibile e capricciosa, con la quale non si può mercanteggiare o discutere. Deve, per forza di cose, essere una entità extra parti in conflitto, perché non si possono evitare i conflitti nei gruppi di esseri viventi, umani o animali.
   Ecco allora che, a monte del diritto giuridico c'è sempre una religione, in cui un dio ha stabilito le regole che gli uomini devono rispettare, altrimenti vanno incontro all'ostilità del dio. Con questa scusa il reo colpevole può essere isolato, allontanato dal gruppo o, addirittura, ucciso.
   Se ora ci allontaniamo dal nostro ipotetico e ristretto gruppo sociale neolitico, di cacciatori-raccoglitori, e ci spostiamo un po' più vicino a noi, ecco che troviamo società altamente evolute, le quali producono, conoscendo queste cose appena dette, una cultura in grado di stabilire un ordine sociale e una preferibile direzione di sviluppo dello stesso. Ma sono pochi individui privilegiati che si incaricano di fare tutto ciò, per se stessi e per i loro simili, magari meno dotati intellettualmente, oppure semplicemente meno scaltri. Non sempre chi compie questo "lavoro" è in buona fede, o dettato da scopi umanitari. Più spesso, quasi sempre, lo fa per acquisire potere sui propri simili, come nell'ottimo esempio riportato più sopra da Claude Levi Strauss.
   Qualcuno potrebbe, per esempio, scrivere un libro e poi dire che Dio stesso ha scritto il libro! Poi, con il libro, andare nel mondo, mescolandosi alle altre genti, per influenzare il mondo intero, con la propria cultura e il proprio libro.
   Ecco allora sorgere culture che fanno parlare di se' nel mondo: penso agli antichi egizi, all'ebraismo talmudico, ai persiani, ai greci, ai romani, al cristianesimo, all'islam.
   è chiaro che ogni ordine sociale genera scontento, dato che i creatori dell'ordine sociale assorgono a posizioni di potere invidiate da coloro che potere non hanno. Questo fa sì che alla cultura "al potere" si accompagni quasi sempre una controcultura -un altro gruppo di individui- che desidera smantellare l'ordine sociale al potere e sostituirsi ad esso. Tutto questo è di estrema attualità ai nostri giorni, dove in molti parlano di un nuovo ordine mondiale. Questo sta semplicemente a testimoniare che esisteva un vecchio ordine mondiale, che a questi individui non piace, forse perché vogliono migliorare le condizioni dell'umanità, o forse, molto più probabilmente, vogliono soltanto migliorare le proprie condizioni, sostituendosi al potere, fregandosene delle condizioni dell'umanità, del popolo.
   COSTORO OGGI CHIAMANO SE' STESSI ILLUMINATI. Essi sono i figli della filosofia gnostica, che si ribellano all'ordine bimillenario rappresentato dalla Chiesa di Roma.
   Questa è l'essenza delle civiltà evolute come la nostra. La cultura, come la storia, non sono mai frutto del caso, ma studiate accuratamente a tavolino, dagli esperti prezzolati al servizio del POTERE, affinché nulla sia lasciato al caso.
   Le culture costruite in questo modo si basano su una ingiustizia di fondo e non possono esser migliorate, nel senso di dare felicità e sicurezza per tutti i suoi membri, ma assicurano benessere solo per il ristretto numero di persone che sta al potere; tutti gli altri sono schiavi di questa elite.
   La gabbia mentale di cui abbiamo parlato all'inizio, costruita artificiosamente con un indottrinamento continuo e totale, fin dalla più tenera età, tramite la famiglia, la scuola, i media e una reiterazione continua, impedisce al ceto basso degli schiavi di sollevare la schiena dal lavoro e la mente dalle preoccupazioni volutamente alimentate, impedendo altresì di sollevarsi per portarsi allo stesso livello di quei pochi che dirigono e indirizzano le sorti della società.
   Gli schiavi sono costretti a lavorare molte ore al giorno, essendo volutamente tenuti in ristrettezza economica; questo primariamente per tenerli occupati, angosciati sul loro futuro, il che impedisce di avere tempo per pensare e scorgere l'ingiustizia sociale e l'assurdità paradossale di esser costretti a lavorare così tanto in una civiltà altamente tecnologica; secondariamente è l'ingordigia delle classi dominanti che richiede sempre maggior impegno da parte del popolo. Nelle società "primitive" di cacciatori-raccoglitori, gli individui dedicavano mediamente due, tre ore al giorno alle attività per procurarsi il cibo, mentre il resto del loro tempo era dedicato ai divertimenti ed alle cure sociali. [6]


[1] Vedere mio articolo sull'origine dell'accumulo delle risorse come prototipo del sorgere dell'idea del denaro.
[2] Cito da Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia di Epiphanius Editrice Ichthis, Roma 2002, pag.27 nota n.36: "Carl Gustav Jung, psicologo scomparso nel 1961, caposcuola della psicanalisi e studioso di esoterismo, affigliato del Rito Scozzese Rettificato, alla domanda «Ma in Dio crede?», rispondeva: «...non ho più bisogno di credere. Ora so.»(cfr. il Giornale, 8.12.1986).
[3] Cito da Wikipedia: Nel capitolo "Definizioni" del lavoro iniziale Psychological Types, alla voce "collettivo" Jung cita representations collectives, termine coniato da Levy-Bruhl nel suo libro del 1910 How Natives Think. Jung indica che è ciò che egli intende quando parla di inconscio collettivo. Resta da chiedersi se sia stato Jung il primo a formulare tale concetto o l'abbia tradotto dall'antropologia culturale, rielabolandone il significato con i propri contenuti. [Wikipedia]
[4] In realtà, forse più che fare una distinzione fra popoli diversi, sarebbe più appropriato distinguere, all'interno dello stesso gruppo sociale, fra individui i quali, tramite la loro personale "erudizione" intendono dare un'impronta ed una direzione allo sviluppo del gruppo sociale intero, da quelli, i più, ignari di questa intenzione dei loro simili, i quali, vengono volutamente tenuti all'oscuro delle intenzioni dei primi. La differenza consiste nel fatto che per il popolo, storia ed evoluzione sociale sono frutto del caso, mentre i pochi altri sanno che non è così: questa potrebbe essere la biblica proibizione per il frutto proibito della conoscenza. [Nota del curatore dell'articolo "cultura".]
[5] Tristi Tropici di Claude Levi Strauss Capitolo VII Nambikwara § 28. Lezioni di scrittura pagg.281-284. Gruppo Editoriale il Saggiatore S.p.A., Milano 2004.
[6] Citato a memoria da La civiltà fra i primitivi. di Paolo Palmieri. Metterò al più presto, non appena mi capiterà sottomano il libro, editore e pagina da cui ho tratto l'annotazione, virgolettando la medesima letteralmente.

Articolo n.2: cultura.php
Sito: chifelio
Tema: 10 - Cultura
Data: 2012-03-19

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