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Giovanni Chifelio Il Ritorno -Capitolo 3 - Uno strano incidente stradale.
Data creazione pagina: 19/07/2013 3:35
Capitolo 3: Uno strano incidente stradale.
Non gli fu difficile ritrovare l'uomo. L'aveva notato che curiosava attorno alla casa. Non aveva potuto seguirlo,
per sapere dove vivesse, ma l'istinto di segugio non l'aveva mai deluso. Per un giorno intero era rimasto ad
osservarlo, mimetizzato nell'ambiente. Non era uomo di montagna, ma, quando si trattava di mimetizzarsi per non apparire
sapeva farlo senza che nessuno lo notasse. I colori, ma soprattutto l'immobilità, erano le armi vincenti, dove
c'era poca gente, ma, volendo, avrebbe potuto fare la stessa cosa in una città o in un posto molto affollato:
bisognava individuare il tema dominante e "replicarlo". Come fanno tutti gli animali che si mimetizzano. Nessuno si
sarebbe ricordato di lui, del suo passaggio, del suo intervento.
Studiò le abitudini dell'uomo. Capì che viveva solo. La borgata in cui viveva era piccolissima, per lo
più case ormai abbandonate.
Sempre la stessa storia. I vecchi hanno sputato sangue su quelle montagne, passando ore, giorni del loro tempo,
dedicandosi a lavori duri e poco remunerativi. L'allevamento di qualche animale da latte e da carne. La fatica immane
della raccolta delle castagne. Il fieno per alimentare gli animali nella stagione invernale: altre fatiche spossanti e
deprimenti. Falciatura, rigirare l'erba tagliata, raccoglierla magari in fretta, sotto l'imminente minaccia di
un temporale, trasporto con il cabas, sulle spalle, per chilometri sulle mulattiere, per portarlo infine al riparo
nel fienile accanto alla stalla, riportando, nel viaggio di ritorno, il gias delle mucche da spargere quale
fertilizzante, nei prati appena tagliati.
L'orto per provvedere al proprio nutrimento. Qualche fungo, i mirtilli, da vendere ai ristoratori o ai commercianti
di fondo valle, a Paesana, per ricavare qualche spicciolo, per poter tirare avanti tra la vendita di un bocin e
l'altro. Spremevano ogni centesimo dalla natura, evitando poi di spendere, non avendo altro capriccio che il lavoro
e qualche bicchiere di vino a tavola.
Non era difficile capire perché i giovani preferivano trovarsi un lavoro in fabbrica e abbandonare la montagna,
tornandovi poi magari nel fine settimana, per fare visita ai loro vecchi che si ostinavano a rimanere attaccati alle loro
ripide terre, quasi come dei turisti cittadini.
La generazione precedente, aveva lavorato alla FIAT, partendo con la corriera prima del levar del sole, occupandosi poi,
al ritorno, nel pomeriggio e nei fine settimana delle loro terre. In questo modo erano arrivati dignitosamente
all'agognata pensione, qualcuno anche "agiatamente", riuscendo a costruirsi una dignitosa casetta di
proprietà, sorta sui ruderi di antiche baite di pietra e fango. Sarebbe questa la gente che, secondo i politici
che si guadagnano una pensione da nababbi in una sola legislatura, i quali ricevono le direttive dai Draghi o dai Ciampi
di turno, al servizio dei banchieri che dominano su tutti, avrebbero rovinato il paese e l'istituto delle pensioni di
anzianità! Questa la gente da costringere a lavorare fino alla morte, pagando i contributi per poter dare la
pensione ai mangia pane a tradimento, parassiti inutili sulle spalle dei lavoratori, per arricchire i già
immensamente ricchi banchieri. La parola schiavi sarebbe più idonea, oggi e sempre, per descrivere la condizione
del popolo che non può vivere di rendita, ma deve contare sulle proprie mani e sulle proprie spalle.
Soltanto un vicino anziano viveva stabilmente nella borgata. Non sarebbe stato un problema.
Antony J. Russo, era fiero di se' stesso. A soli venticinque anni era all'inizio di una fulgida e promettente
carriera. Dopo la laurea ottenuta cum laude al MIT in matematica e informatica, era finito dritto a Langley in Virginia,
come addetto a ricerche sulla rete, nella più grande agenzia del paese. Quando aveva fatto la domanda non vi
aveva riposto troppe speranze, ma tutto era filato liscio come l'olio, e si era già guadagnato, dopo soltanto
un anno di lavoro, la stima dei suoi superiori.
Figlio di due italo americani di terza generazione, era vissuto e cresciuto nel Bronx, dove aveva appreso a sopravvivere
nel mondo. Parlava correntemente l'italiano, perché i suoi avevano insistito affinché lo imparasse,
"perché non si sa mai", e abbastanza bene il tedesco studiato a scuola come seconda lingua straniera.
Probabilmente le lingue erano state, oltre alla sua laurea e alle sue capacità, il fattore decisivo per la sua
assunzione all'agenzia.
I suoi due vecchi se ne erano andati presto, consumati dal lavoro duro e continuo nella drogheria del quartiere, aperta
giorno e notte. Le sue due sorelle e lui, avevano dovuto fare presto i conti con la durezza della vita. Ce l'aveva
fatta, lavorando e studiando duro.
Tony sapeva molto bene cosa voleva, e questo lo distingueva dalle persone comuni, che confuse e stressate, vivevano come
potevano, alla giornata, magari imbottiti di droghe, o, quantomeno,di psicofarmaci, il che è lo stesso. Lui amava essere
lucido. Al massimo si concedeva qualche bicchiere di vino di qualità, a qualche cena con amici o con le donne di
turno, ma sempre senza eccedere. Lui assaporava il vino come assaporava la vita. Sapeva di potersi concedere qualsiasi
cosa, a patto di essere sempre presente a se' stesso. Sapeva di non essere bello, anzi, ed aveva avuto i suoi problemi
in gioventù, ma la dura scuola della strada gli aveva insegnato a risolverli.
Mingherlino, con dei grossi occhiali dalle spesse lenti, alle scuole superiori era stato preso di mira da alcuni bulli di
quartiere. All'inizio aveva subito umiliazioni feroci, che però non avevano piegato il suo carattere
indomabile. Il suo fisico era rimasto secco, ma sotto i vestiti guizzavano dei muscoli d'acciaio, poco appariscenti
ma efficaci, coltivati con cura in una palestra di body building. Lui era un risolutore di problemi, e con pazienza, aveva
eliminato dalla sua strada tutti gli ostacoli che gli intralciavano il suo divenire, già allora molto chiaro:
ricchezza e potere. Tutto quello che faceva, lecito o meno, soprattutto ciò che legale non lo era per nulla, era
pianificato meticolosamente. Funzionava sempre. Almeno agli occhi del mondo.
Quella mattina era convocato dal suo capo settore. Lui contava di diventare "operativo" al più presto.
Passare le giornate al computer era la realizzazione del suo sogno, fin da quando, bambino, era entrato in molti sistemi
di sicurezza federali, e non solo quelli, mandandoli in tilt. Aveva guadagnato soldi in internet, spiando nei computer
delle persone mentre questi eseguivano transazioni monetarie on line. Senza sporcarsi le mani. Il denaro, sempre
più virtuale, semplicemente passava dai conti correnti dei polli al suo, senza lasciare tracce.
Ma aveva anche bisogno di azione. E di donne. Queste non gli mancavano, nonostante la faccia da secchione. La sua mente
era in grado di sedurre chi volesse: sapeva sempre cosa voleva sentirsi dire la donna davanti a lui. Con un'unica
eccezione, nella sua vita: la fottutissima vecchia insegnante di chimica delle superiori: Mrs. White.
Alle superiori andava alla grande in tutte le materie, escluso in chimica. La chimica era Mrs. White, e lui e Mrs. White
avevano una reciproca antipatia di pelle. Aveva tentato in tutti i modi di essere amabile con lei, sempre con lo stesso
risultato. Studiava chimica con lo stesso accanimento delle altre materie, anzi, forse di più. Ma i suoi voti erano
bassi. L'insegnante sembrava sapere a priori come fregarlo e dargli un pessimo voto sul suo registro. Alla fine
saltava spesso le sue lezioni. Se per caso era presente, lei trovava il modo di espellerlo dall'aula per motivi
disciplinari.
Come sempre faceva, nei casi avversi, si era preso tempo per pensare. Analizzare il problema e cercare di risolverlo. E lo
fece. Alla grande.
Già, proprio in virtù di quella faccenda, sapeva di avere i numeri per passare all'azione
nell'agenzia. Non aveva scrupoli di nessun genere lui.
Così come aveva in modo sicuro eliminato il problema del bullo delle superiori, così aveva sistemato Mrs.
White.
Il bullo, Dan Backer si chiamava, aveva una ragazza del cuore. Laura Stuart. Lui aveva incaricato un suo amico, uno sciupa
femmine, avrebbe detto sua madre, di portare via la ragazza al bullo e, personalmente si era occupato di far trovare il
bullo appeso ad una corda robusta, nella cantina della sua casa, con tanto alcool nel sangue da ubriacare un elefante.
Conosceva le persone e ci sapeva fare. Non appena la ragazza aveva abbandonato Dan, lui era diventato il miglior amico
del suo persecutore. Aveva procurato il wiskey e poi si era occupato del resto, continuando a riempirgli il
bicchiere senza berne un goccio egli stesso. Alla fine era stato un gioco da ragazzi, fargli scrivere il biglietto e
appendere il grosso idiota alla trave più robusta.
– Ehi Dan, insceniamo un finto suicidio, che ne dici? Magari Laura tornerà da te.
– E come...come si potrebbe fare?
– è semplice. Facciamo credere che hai tentato di impiccarti a quella trave, ma poi il nodo che teneva la corda a
quella trave si è sciolto e domani mattina ti ritrovano in terra, con i postumi della sbornia e la corda al collo. Io poi
mi occuperò di far girare la voce a scuola, ed il gioco è fatto. Che ne dici?
– Non saprei...potrebbe andare...
– Certo, per rendere la cosa credibile, dovrai almeno avere un poco di livido attorno al collo. Io stesso
tratterrò la corda per un po', poi la lascerò andare.
Ed iniziò a preparare un cappio con nodo scorsoio, come aveva studiato sul libro dei nodi della biblioteca locale,
con la grossa corda. Non si accorse nemmeno, Dan, sbronzo come era, che lo stava facendo con dei guanti di pelle.
Quando se ne era andato dalla cantina, l'amico aveva smesso da un pezzo di scalciare l'aria, tentando
inutilmente, le mani alla gola, di aprire il cappio che gli impediva di respirare. Era rimasto a lungo a fissarlo negli
occhi terrorizzati, sorridendo, mentre la vita gli sfuggiva inesorabilmente senza che la sua vittima potesse fare nulla
per impedirlo. Quando se ne era andato via, nella cantina non c'erano sue impronte, ne' tracce o qualsiasi cosa
che potessero collegarlo alla scena del delitto. Nessuno l'aveva visto entrare lì dentro, nessuno lo vide
uscire. Il caso fu archiviato come suicidio. Antony andò al funerale. Consolò i genitori e pianse con loro.
Un vero attore.
Con Mrs. White aveva fatto anche di meglio. Il suo capolavoro. Avrebbero dovuto assumerlo a Langley soltanto per quello.
Ma erano cose che non si potevano scrivere su un curriculum.
Dopo aver pensato una notte intera insonne, decise di spiarla. Abituato come era a studiare e a lavorare per pagarsi gli
studi, solitamente dormiva pochissimo. Con questo suo nuovo impegno, avrebbe dormito ancora meno. Aumentò le dosi
di caffè e pasticche di caffeina.
La prima cosa che scoprì su Mrs. White lo meravigliò dapprima, lo stupì, infine lo eccitò
ulteriormente, perché gli diede lo spunto per "risolvere" il problema. Non si sarebbe mai aspettato,
dall'ormai quasi cinquantenne Elisabeth White, che questa avesse dei...pruriti. Meno che meno, che desse sfogo a
queste sue voglie. Per lui fu un gioco da ragazzi, tramite la rete, scoprire che Mrs. White chattava, flirtando con
sconosciuti, usando lo pseudonimo di "Gola profonda". Non solo, ma, meraviglia delle meraviglie, dopo qualche
tempo incontrava i suoi flirt a casa sua.
Ma fu quando scoprì le sue preferenze sessuali che gli si delineò chiara in mente, la soluzione finale del
problema. Mrs. White preferiva i culi neri. Adesso era tutto chiaro. Ecco perché il "rasta" del banco
centrale della prima fila, Horatio Ape, aveva i voti migliori in chimica.
Ma c'era ancora dell'altro. Antony era riuscito ad affittare un locale proprio nel palazzo di fronte alla casa
di Mrs. White. Essendo ormai solo, si era trasferito lì: l'affitto era più conveniente, e poteva
installare la sua centrale d'osservazione. Aveva un teleobiettivo dissimulato dietro a delle tendine anonime, col
quale poteva osservare anche i dettagli più intimi di quello che avveniva in casa di Mrs. White, la sera. Se gli
incontri con la stessa persona, lo stesso culo nero, si ripetevano più di una volta, immancabilmente si trattava
di uomini che definire "superdotati" era un eufemismo. Una sera ebbe un moto di meraviglia e di stupore,
nell'osservare l'attrezzo che l'uomo, alla fine, estrasse dalle cosce della signorina. «Non è
possibile!» Pensò fra se', osservando la signorina White, legata sul letto, braccia e gambe
divaricate.
Passavano i mesi. Gli uomini si susseguivano, anche se nessuno durava più di qualche settimana. Mrs. White,
evidentemente, amava anche le variazioni e le novità. Finché venne il turno di Horatio.
Ciò che più gli dette fastidio, a lui che non riusciva ad avere la sufficienza in chimica, e che si
classificava, come uomo, nella parte bassa della variabilità della misura maschile, fu scoprire che Horatio
sarebbe tornato nella casa di Mrs. White più volte. Hanno un bel dire, coloro che di solito non hanno grandi doti
fisiche, che più per consolarsi che altro, che non è la misura che conta, ma il saperlo usare bene. Questa
non è che un tentativo di rassicurarsi da soli.
Così fu che pianificò che la prossima volta che Horatio fosse tornato, avrebbe concluso la faccenda.
Attese che Horatio uscisse dalla casa e, silenzioso come un gatto, entrò egli stesso. Non c'erano serrature
che potessero trattenerlo. Era già stato in quella casa, mentre Mrs. White era a lezione, per piazzare cimici, nel
caso avesse deciso di ricattare l'insegnante, cosa che dubitava fortemente avrebbe poi messo in atto, non essendo nel
suo stile, subdolo sì, ma non vigliacco. Silenziosamente raggiunse la camera da letto. Il pavimento era tutto in
mattonelle e non avrebbe scricchiolato. In camera, sulla moquette, non c'erano problemi di rumore. Dormiva beata ed
appagata. Stanca delle lunghe ore di sesso. Nella stanza sembrava ancora aleggiare, intenso e acre, l'odore del sesso.
Ad ogni buon conto, Antony aggiunse un poco di cloroformio su un fazzoletto, per poter terminare l'opera con la calma
necessaria.
La imbavagliò e la legò, con le stesse corde usate poco prima, che ancora pendevano ai quattro lati del
letto.
Dispose gli attrezzi sul comò con specchiera e la svegliò. Si beò del terrore che lesse negli occhi
di lei, quando realizzò la sua situazione e lo riconobbe. La guardò divincolarsi nell'impossibile
tentativo di liberarsi, sorridendole amabile. Poi iniziò a lavorare con li taglierino.
L'agonia di Mrs. White durò tre giorni. Nel frattempo Antony andava normalmente a scuola, per tornare alla
sera dalla sua vittima, che vivendo sola, non sarebbe potuta essere liberata da nessuno, a proseguire il suo
"lavoro". Non aveva personale di servizio, ne' donna delle pulizie. Alla scuola si limitarono a prendere
atto della sua assenza alle lezioni, facendole suonare un paio di volte a vuoto, il telefono di casa.
Passarono tre settimane, prima che il cadavere, o quello che ne restava, fosse scoperto dalla polizia, chiamata dai
vicini che cominciavano a sentire la puzza della morte.
Quando arrestarono Horatio Ape, Antony era in fondo alla fila di curiosi che si radunano sempre, in caso di disgrazie.
Naturalmente, dato che nella casa di Mrs. White c'erano tracce biologiche e impronte a bizzeffe di Horatio, fu un
caso semplice per la giustizia. Fu condannato all'ergastolo già in primo grado, nonostante il fatto che
l'imputato si proclamasse innocente e desse in escandescenze. Come fanno tutti, del resto.
Per Antony le cose iniziarono ad andare meglio, molto meglio. La nuova insegnante di chimica, Angela Burck, venticinquenne
neolaureata era simpatica, avvenente, e giusta. Questa volta fu Antony ad avere i voti migliori in chimica. Oltre,
naturalmente, a finire nel suo letto, a coronamento di un capolavoro di cui non avrebbe potuto vantarsi con nessuno, ma
che dovrebbe essere, ed in fondo lo è, il criterio di scelta degli uomini che lavorano nei servizi. La
società civile li definirebbe psicotici, ma così devono essere, gli uomini che fanno il lavoro che fanno.
* * *
Il grande capo dell'agenzia era inquieto. I potenti della terra -e non pensava ai presidenti americani, ai segretari
di stato, ai congressisti, ai politici insomma, ma ai veri burattinai che tirano i fili di questi ultimi e del mondo-
premevano affinché l'unità monetaria mondiale fosse attuata entro il 2012, oppure, se possibile, anche
prima. Egli sapeva perfettamente che il vero potere di conquista del mondo era del denaro e di chi lo padroneggiava. Lui
stesso, lo sapeva e lo ammetteva, era nelle loro mani, e non quindi, agli ordini del presidente al servizio dei
contribuenti cittadini americani.
In fondo un padrone vale l'altro, se non si può essere padroni di se' stessi. Molto meglio essere agli
ordini dei più potenti. Di riflesso, il proprio potere, purché non contrastasse con quello di quei signori,
avrebbe avuto molto più peso. In ultima analisi, il movente più forte degli esseri umani è il potere
stesso. Il denaro è soltanto un mezzo per averlo, un simbolo del potere stesso. Egli stesso, non era che un uomo,
sotto questo aspetto.
In quel momento storico, ogni ribellione all'unione monetaria mondiale, ogni tentativo di svelare i misteri della
conquista del mondo attraverso il danaro, andavano stroncati sul nascere. Era un compito precipuo affidato all'agenzia
e lui doveva preoccuparsi che tutto andasse liscio. Ma così non era. La stampa ufficiale e le televisioni,
ammaestrate opportunamente, non parlavano di queste cose. I giornalisti, i direttori di testate, venivano invitati a
riunioni segrete, delle quali non potevano assolutamente parlare, e dove venivano istruiti su cosa fosse opportuno
scrivere nei loro giornali e, sopratutto, cosa non scrivere. Si tratta di raduni come il Bilderberg o, come viene spesso
chiamato, il "meeting annuale degli alti sacerdoti della globalizzazione", quell'anno tenutosi a 40 km da
Istanbul, in Turchia, presso il Klassis Hotel di Silivri. il Bilderberg Group è un conferenza "non
ufficiale" che prevede un centinaio circa di invitati, influenti, potenti personaggi dell'economia, dei media e della
politica. Il nome deriva dalla sede del loro primo incontro che risale al 1954, tenuto nell'Hotel de Bilderberg in
Oosterbeek, nei Paesi Bassi. Gli invitati al meeting, se dimostrano di adeguarsi alle direttive, decollano quasi subito
per brillanti quanto stupefacenti e rapide carriere. Giornalisti semisconosciuti diventano direttori di testate; politici
rampanti salgono ai vertici più elevati dopo l'invito marchio Bilderberg. Un quasi sconosciuto governatore
dell'Arkansas, Bill Clinton è stato eletto presidente degli Stati Uniti un anno dopo la sua partecipazione al
Bilderberg nel 1991, mentre Tony Blair è stato eletto Primo Ministro della Gran Bretagna tre anni dopo la sua
partecipazione nel 1993. Un altro socialista, il francese Lionel Jospin, fu invitato al Bilderberg nel 1996.
L'anno seguente diventò capo del governo francese e lo è stato fino al 2002. In Italia, Romano Prodi
fu invitato alla riunione del Bilderberg in Portogallo nel giugno del 1999: a settembre dello stesso anno, è
diventato presidente della Commissione europea. Prodi è stato addirittura, negli anni '80, un membro dello
«steering committèe», ossia dell'importantissimo ufficio del Bilderberg che definisce i temi
delle discussioni segrete e gli inviti da diramare.
Emma Bonino: convocata al Bilderberg nel '97, e diventata commissaria europea.
Negli anni precedenti la direttiva Bilderberg, era stata quella di smantellare lo stato sociale in europa, che dava troppa
sicurezza a quelle popolazioni. Ora stava avvenendo. Lo stesso Prodi, esponente di un governo di centro sinistra, quel
tipo di governo che, secondo il senso comune, dovrebbe stare dalla parte dei più deboli, del popolo, stava
distruggendo il sistema pensionistico italiano. Lo stesso gli altri leader europei. è assolutamente necessario, per
il controllo mentale delle persone, che la gente sia preoccupata e depressa.
Il direttore dell'agenzia era concentrato sulla bella penisola del mediterraneo, che occupava una posizione
strategicamente importante ai tempi della guerra fredda, e che la occupa tutt'ora per il vicino oriente e quello che
laggiù si vuole fare accadere, perché proprio da lì vengono le più scalmanate voci di dissenso
ai piani dei potenti.
Se giornalisti e politici di tutti gli schieramenti sono ormai tutti quanti allineati e collaboranti, molti dei cittadini
del paese del sole, sembrano essere immuni dall'ormai totale controllo mentale operato dai media e non solo, nelle
varie parti del mondo. Gli italiani sembrerebbero essere capaci di pensare con la loro testa. Questo costituisce una rogna
per l'agenzia e quindi per lui. Se la stampa è facile da controllare, altra cosa è internet e i piccoli
scrittori. Molte squadre all'opera laggiù, erano un costo eccessivo e difficile il loro controllo capillare.
A complicare la situazione, spesso occorreva farsi affiancare da agenti locali, meno affidabili e meno controllabili. Le
notizie da laggiù non erano buone e lui aveva dato una gran lavata di testa ai capi settore, sperando che servisse
allo scopo. Se gli avessero dato carta bianca, lui avrebbe fatto a modo suo. Oscuramento dei siti ostili e annientamento
dei personaggi più agguerriti. Ma pare non fosse ancora il momento di procedere a modo suo, "per non
inimicarsi l'opinione pubblica". Come se ne esistesse una, non manipolata da loro.
Anzi, il principale problema e intralcio alle operazioni dell'agenzia era proprio quello. L'ossessione di volere
il consenso della più larga fetta della popolazione. Si voleva che la gente delle popolazioni occidentali credesse
fermamente di vivere in democrazie, dove essi stessi, cittadini consapevoli, prendevano delle decisioni, per il solo fatto
di andare a votare di tanto in tanto. Questo creava un mucchio di problemi collaterali. Lo spettacolo pirotecnico
dell'undici settembre 2001, progettato proprio a quello scopo, ottenere consenso verso ciò che
l'amministrazione di quell'ubriacone stava facendo e stava per fare, era stata esagerata e aveva fallito. Se
avessero dato retta a lui. Era circa un decennio che lo stavano preparando. Un solo aereo sulle Twin Tower e successivo
crollo, grazie alle cariche esplosive predisposte da tempo, sarebbe stato perfetto. Ma no, qualche genio aveva voluto
strafare. Non uno, ma, ufficialmente quattro aerei dirottati in un solo giorno, da uomini armati di coltellini da scouts,
che colpiscono il settantacinque percento degli obiettivi.
Solo gli idioti indottrinati dal tam tam dei media potevano bersi tutta la favoletta. Senza contare il fatto che non erano
più i tempi di Hedgar J. Hoover, o di Allen Dulles: le strade del mondo brulicavano di Zapruder dotati di
tecnologie mille volte più efficienti di un super otto. Se già si dubitava allora della tesi ufficiale del
pazzo isolato, che decide di sparare al presidente, armato di un fucile a caricamento manuale che riesce a sparare una
successione di colpi a segno impressionante, senza contare tutti i feriti fra la folla, figuriamoci nel 2001 uno spettacolo
del genere, sicuramente ripreso da decine di telecamere digitali!
Volevano una nuova Pearl Harbur. Lo dicevano da un decennio. Si sarebbe dovuto fare una cosa "credibile".
Credibile, per gli allocchi, era che i servizi americani del 1942, non avessero scoperto i piani nipponici di attacco.
Che nessuno si fosse accorto, con tutti gli aerei e tutte le navi della marina statunitense in giro a pattugliare il
Pacifico, dell'imponente formazione di navi e aerei giapponesi in viaggio per ore verso le Hawai, poteva sembrare
vero a tutti quelli che si erano bevuti il cervello.
Ma una cosa come era poi stato l'undici settembre, a lui pareva che nessuno dotato di buon senso potesse crederla.
E lì non sembrava nemmeno un fallimento dei servizi, i quali non avevano "notato" che si stava
organizzando una cosa così colossale. Una cosa che aveva richiesto fiumi di denaro e molta comunicazione fra gli
"addetti". Lì saltava all'occhio, e nemmeno al più smaliziato, che era un affare "made
in CIA".
E poi quell'ossessione per le date. La regia di Kissinger aveva già usato una volta in Cile, il martedì
undici settembre, per rovesciare il governo e uccidere quel comunista di Salvador Allende, eletto dal popolo bue di quel
paese, instaurando la dittatura di Pinochet. 911, la forza e tutta la simbologia occulta dei tarocchi. Di questo passo
anche i bambini capiranno i giochi di numeri.
Se soltanto avesse potuto servirsi di Negroponte, che così bene aveva lavorato in Nicaragua. Ma era impegnato in
medio oriente.
* * *
Adesso erano tutti riuniti nella grande sala ellittica del Consiglio. I ventiquattro prescelti erano esattamente allineati
sotto le due colonne che separavano la parte grande della sala, dove stavano tutti, dalla più piccola nicchia dove
sedevano gli Anziani saggi, rivolti verso gli altri. Le due colonne rappresentavano, oltre che la bipolarità
della Conoscenza, anche la soglia che gli Iniziati dovevano oltrepassare per rinascere a nuova vita.
Kjn represse un piccolo moto di orgoglio, per essere stato scelto, prima che questo arrivasse al cuore e si espandesse,
inquinando l'ambiente. Era contento di poter servire nuovamente alla causa, naturalmente, come tutti gli altri. Ma
questo non doveva essere una competizione con i non scelti, i quali, avrebbero comunque collaborato in altri modi.
L'orgoglio era una emozione negativa, che avrebbe ristretto il campo d'azione che emanava dal loro cuore, mentre
loro, nel lungo e faticoso tirocinio iniziatico, avevano appreso la necessità di coltivare le emozioni positive.
In questa ultima fase, avrebbero ricevuto un insegnamento riassuntivo di gruppo, prima di spiccare il salto verso il loro
compito laggiù, attraversando poi, simbolicamente le due colonne. Laggiù sulla terra sarebbero stati soli,
ma uniti nella immensa Energia divina che attraversa e permea tutte le cose e tutte le persone.
Prese la parola il Nonno di Kjn.
«Come già sapete bene, la prima cosa da evitare nel modo più assoluto, per non ripetere gli errori del
passato, è che la Conoscenza, che voi siete nuovamente chiamati a trasmettere agli uomini, si cristallizzi nel
dogma, come è già purtroppo successo molte volte, inaridendosi.
In questo si deve prendere esempio e spunto dalla differenza sostanziale esistente tra le religioni "orientali",
vale a dire induismo, buddismo e taoismo, rispetto alle grandi religioni bibliche, ossia cristianesimo, ebraismo ed
islamismo. Nelle prime, non c'è mai stata una eccessiva formalizzazione del dogma, come nelle seconde. Questo
perché in oriente, nessuno ha mai scambiato la descrizione della realtà, che la Conoscenza rappresenta, con
la realtà stessa. Questa piccola, ma sostanziale differenza, ha fatto sì che non ci siano mai state
"guerre sante" in oriente, come invece ci sono state fra le tre grandi religioni bibliche.
Un secondo punto sostanziale di differenza è che le religioni orientali hanno puntato tutta la conquista
all'interno di se' stessi, mentre le altre hanno voluto conquistare la realtà esterna all'uomo e
sono diventati avidi di potere.
È basilare comprendere questa seconda grande differenza, perché questa ha dato avvio a quel processo
deleterio di valutazione di ogni cosa, che è sfociato poi nell'invenzione malvagia del danaro come simbolo e
strumento di conquista della realtà esterna.
La nostra strategia questa volta, si avvarrà di una tattica già messa in atto dagli uomini che ora servono
il male, gli adoratori del denaro: la distruzione delle grandi religioni. Per secoli queste hanno servito tanto la loro
causa quanto la nostra, nel senso che hanno comunque contribuito ad una elevazione morale e spirituale dell'umanità stessa. Ma ora è giunto il tempo di fare un salto di qualità, liberandosi dagli ostacoli che ancora ci sono, della zavorra che impedisce all'umanità stessa di balzare in avanti nella sua evoluzione finale che avverrà presto in maniera esponenziale, rispetto a quanto avvenuto in passato.
Le religioni tradizionali ora sono un peso morto. Per quegli uomini che bramano il potere, le grandi religioni sono servite
a controllare mentalmente le masse di uomini. Un pugno di uomini colti, per millenni ha indirizzato e usato tutti gli
altri per i loro scopi. Noi lo abbiamo permesso perché, in parte, questo serviva anche ai nostri scopi, e, in parte,
avrebbe evidenziato il male ed i suoi fini.
Ora è tempo che la grande massa dell'umanità, fino ad oggi tenuta all'oscuro della Conoscenza Vera,
acquisti coscienza e consapevolezza del Tutto. Questo è in sintesi il vostro scopo.
In questo momento storico, alcuni uomini colti, hanno ideato a tavolino, proprio come avevano fatto creando ad esempio il
cristianesimo, scegliendo parte della Conoscenza e scartandone altra non consona ai loro desideri di potere, una nuova
religione che chiameranno New Age, riferendosi al fatto che l'era dei Pesci, quella di Cristo, è finita e deve
lasciare il posto alla nuova era dell'Acquario.
Questa nuova religione è un sincretismo di tutte le religioni conosciute sulla terra e questo è utile anche
al nostro scopo: il sincretismo è il polo opposto della cosiddetta ortodossia, di quel dogmatismo calato
dall'alto che ora è assolutamente necessario combattere. In questa nuova sincretica religione, ogni uomo ci
può mettere del suo, contribuendo così alla ricostruzione della grande Conoscenza.
Proprio in questo momento, c'è un fermento di giovani che si riuniscono in grandi spazi aperti per ascoltare
musica e ribellarsi al sistema. Negli scopi dei cattivi c'era l'idea di far circolare in quelle sedi, grandi
quantità di droga da distribuire gratuitamente ai giovani, sempre allo scopo di controllarli mentalmente.
Riusciranno in parte nel loro intento, ma tutto questo gli sfuggirà di mano e presto, molto presto, tutto
cambierà in nostro favore.
Intanto questi giovani che si fanno chiamare "hippye" o "figli dei fiori", hanno già iniziato a
protestare contro le guerre, con degli slogans che suonano come un monito: fate l'amore, non la guerra; mettete dei
fiori nei vostri cannoni; etc. Tutto questo inizierà a svegliare molti di dormienti e a farli riflettere sugli
assunti di base di una cultura che non porta avanti che barbarie.
Voi sarete i figli di questi figli dei fiori e darete un impulso all'evoluzione spirituale umana, nel senso che
abbiamo concordato. Molti di voi si incontreranno, alcuni si cercheranno senza trovarsi, altri si troveranno davvero e
si sentiranno attratti l'uno dall'altro. Anche se ora varcherete tutti assieme la linea delle due colonne
dell'iniziazione e partirete per la terra, laggiù non avrete tutti la stessa età. Come già avete
imparato, il tempo terrestre è una illusione che vale soltanto laggiù, mentre non ha nessun senso da noi.»
Il nonno fece una lunga pausa, quasi a voler sottolineare, lasciando il tempo a ciascuno di riflettere sulle sue parole,
l'importanza e la gravità di quanto aveva appena detto. Poi tornò a sedersi al suo posto ed un altro
anziano si apprestò a parlare
* * *
Andrea Novelli aveva dormito bene nella casa di San Bartolomeo, dopo che la sera precedente aveva escogitato un metodo
sicuro per contattare la moglie Anna. In un primo tempo aveva pensato di chiamare sua moglie dal telefono della pizzeria,
ma poi, riflettendo sul fatto che sicuramente il telefono di casa e di lei potevano essere controllati, telefonò a
degli amici, pregandoli di avvertire la moglie che stava bene, parlandole di persona mentre era sola, non usando il
telefono per carità.
L'amico dai tempi della scuola, dapprima era scoppiato in una sonora risata, chiedendogli se per caso si fosse messo a
giocare a James Bond, ma poi, constatando la sua serietà, capì che c'era sotto qualcosa di grosso e
promise che avrebbe fatto ciò che l'amico gli chiedeva.
«Hanno trovato un morto in casa mia a Ripe. Non sono stato io. La mattina precedente, molto presto, sono venuti degli
uomini armati di pistole con il silenziatore davanti casa mia, ed io sono fuggito dal retro, nascondendomi in montagna.
Lo so che tutto questo sembra incredibile, lo sembra pure a me, ma credimi, è successo per davvero.
Mi hanno inseguito per tutta la mattina, finché ho capito che intercettavano il mio cellulare ed allora,
spegnendolo, sono riuscito a far perdere le mie tracce. Ho dormito in una meira in alta montagna. Il giorno dopo, sono
sceso verso casa e, nascosto fra gli alberi, ho viso che portavano via il cadavere di uno dei due uomini armati di pistole
del giorno prima.
Sicuramente Anna non vorrà restare più a dormire in quella casa dove è stato ammazzato un uomo. Anzi,
sono praticamente sicuro che dovremmo venderla a questo punto. Deciderà probabilmente di raggiungermi al mare, ma
sono quasi sicuro che la seguiranno. Cerca di convincerla a stare un poco da sua madre, o da voi. Nel caso dovessi
accorgermi che mi hanno raggiunto qui, seguendo Anna, oppure ascoltando questa stessa telefonata, informala che
andrò in quel posto dove ci fermammo nel 1981, prima di raggiungere la località della vacanza prescelta,
quell'anno che facemmo le vacanze con te. Tu mi capisci. Per l'amor di Dio non fare nomi di luoghi o persone per
telefono. Parla soltanto con lei solo se siete a tu per tu.»
In un modo o nell'altro, aveva comunicato che stava bene e in questo momento sua moglie lo sapeva già.
Così si sentiva tranquillo e sereno, finalmente. Aveva faticato ad addormentarsi, così aveva riletto il primo
libro del Pirsig, che stava sulla mensola in legno di abete, sopra il letto dove dormivano. Era così sereno che al
risveglio aveva provato ancora l'impulso irresistibile di riprendere a scrivere la storia alla quale stava lavorando,
prima che succedesse il pasticcio iniziato solo tre giorni prima.
Trovava che inserire le riflessioni di Fedro sulle religioni orientali e bibliche fosse stata una buona cosa. Poi avrebbe
voluto approfondire la questione del tempo e dello spazio, che, secondo Fedro e secondo Kant, erano esempi classici degli
a priori. Molto tempo prima gli sembrava di essere d'accordo con la tesi di Kant, ma poi, riflettendoci, qualcosa non
gli tornava.
Non era affatto vero che l'uomo non avesse organi sensoriali per percepire il tempo e che questo, conseguentemente
dovesse essere una nozione a priori. Si poteva dire che il battito cardiaco fosse una sorta di orologio interno, la cui
successione regolare, solitamente, scandisse il passare del tempo stesso.
No, ciò che lo aveva convinto precedentemente a sottoscrivere la tesi kantiana sul tempo, era
l'impossibilità di definire il tempo, senza ricorrere alla parola "tempo". Intervallo di, lasso di,
durata di, periodo di tempo. Ma questo significava soltanto che non esistevano sinonimi adeguati, altrettanto validi da
sostituirlo al cento per cento. La percezione del tempo c'era eccome, solo non era universalmente accettata e uguale
per tutti e, nello stesso individuo, identica da una situazione, uno stato d'animo ad un altro. Lo stesso intervallo
di tempo poteva essere percepito come infinitamente lungo, oppure breve, da due persone diverse, a seconda della loro
cultura. Oppure ancora, due persone della stessa cultura, a seconda del loro stato d'animo o della loro occupazione
all'atto dello scorrere di quello stesso intervallo di tempo, l'avrebbero percepito diversamente. Ma
l'avrebbero percepito. Quindi era giusto così: niente era più illusorio del tempo, in questa nostra
realtà fisica.
Per esempio, in questi giorni, da quando era incominciato l'incubo degli uomini con la pistola, e tutto quello che ne
era seguito, nel complesso il tempo gli era fuggito via senza che se ne accorgesse, preso a pensare strategie per
sopravvivere e per fuggire.
Ma, mettendo da parte la nozione dei tre giorni percepita dal susseguirsi della luce al buio della notte, gli sembrava che
fosse una eternità che era un fuggiasco inseguito, che tentava di comunicare con sua moglie, e che avrebbe dovuto
probabilmente scagionarsi di cose non commesse, come l'omicidio avvenuto a casa sua.
Dunque due diverse percezioni del tempo, nelle stessa persona, riferite allo stesso lasso di tempo. E dai!
A tentare di filosofare sul tempo, si finisce per pronunciare o scrivere decine di volte la parola tempo, cosa
inammissibile per uno scrittore.
Allo stesso modo aveva cambiato atteggiamento anche ad un altro fatto, rispetto a quando l'aveva letto la prima volta
nel libro di Pirsig.
Ad un certo punto, Fedro sta ad ascoltare un maestro zen, che sottolinea per l'ennesima volta quanto la realtà
che viviamo sia illusoria. A quel punto Fedro si alzava in piedi e domandava al maestro, se anche le bombe sganciate su
Hiroshima e Nagasaki fossero illusorie.
Alla risposta affermativa del maestro, Fedro aveva lasciato l'aula, abbandonando per sempre quel maestro.
Ora Andrea non era più così sicuro, che la realtà fosse altrettanto reale per tutti, proprio come il
tempo. Le bombe atomiche sul Giappone sembrano più reali, per l'unanime condanna morale di una azione
così letale e inutile al tempo stesso.
In sostanza la morale individuale, interferiva secondo Andrea, con la percezione stessa della realtà. Quindi era
forse vero che la realtà era illusoria per lo meno quanto il tempo.
Date queste premesse, che cos'era che rendeva reale un fenomeno? Come si interroga Gregory Bateson, l'albero che
cade nella foresta senza che nessuno lo veda cadere, è caduto veramente? Di più. è realmente esistito
quell'albero, prima di cadere, se nessuno l'ha mai visto? Se nessuno ha mai avuto coscienza che quell'albero
esistesse?
Invece di chiarirsi le idee, Andrea, come Fedro, e molti prima di lui, più leggeva, studiava e rifletteva, meno
certezze aveva. L'incubo che aveva vissuto in questi ultimi giorni, era davvero reale? Gli uomini con la pistola
munita di silenziatore, davanti a casa sua, c'erano stati realmente, oppure se li era inventati lui, con la sua
fervida fantasia di scrittore? Non sarà per caso che da una immaginazione iniziale, una specie di allucinazione, un
sogno, lui avesse iniziato a fuggire, e, come Fedro, presto sarebbe finito in manicomio, a tentare, come Fedro poi, a fare
finta di essere sano, di essere "normale", per convincere i medici a smettere di drogarlo e lasciarlo uscire?
E quanto poteva essere reale una cosa scaturita dall'immaginazione?
Eppure, Andrea lo sapeva per certo, la sua mente era perfettamente in grado di creare la realtà. Non pensava ai
suoi primi due libri, scaturiti dalla sua fantasia, che erano diventati oggetti reali. Due parallelepipedi di fogli di
carta incollata, che recavano parole aventi un qualche senso logico, al punto che, ad un eventuale lettore, che si
immergesse nella finzione della lettura di un romanzo, avrebbe potuto immaginarsi le scene e i paesaggi descritti,
figurandoseli come reali.
No. Si riferiva al lavoro che aveva svolto per quasi tutta la vita, di progettazione meccanica. Nella sua mente piano piano
si delineava l'immagine di una macchina capace, per esempio, poniamo, di assemblare i freni di una bicicletta, senza
l'intervento umano. L'idea si manifestava poi in uno schema che suddivideva le operazioni necessarie in
operazioni semplici, che diventava poi il progetto di una macchina che faceva tutto il lavoro. Terminata la progettazione
globale, venivano disegnati tutti i particolari costituenti della macchina, dalla più piccola vite al pezzo
più grande. I costruttori poi, con i disegni in mano, costruivano materialmente tutti i pezzi, uno ad uno, li
assemblavano montandoli insieme.
Naturalmente occorreva moltissimo tempo, proporzionalmente alla complessità della macchina, ma alla fine: ecco
lì la macchina reale e pesante, solida, metallica, che funzionava per davvero e, ad una estremità uscivano
i freni di bicicletta perfettamente montati: perno, le due leve, con le viti di regolazione e le viti di fissaggio dei
pattini frenanti, tutto quanto.
La stessa identica cosa facevano i geometri e gli architetti, per le case, le costruzioni edili. Idea, progetto, oggetto
materiale. Ma allora l'uomo era davvero creatore di realtà.
Tornando a se' stesso, si chiese se fosse possibile, che avendo immaginato degli uomini armati, ne avesse ucciso poi
uno col suo machete africano. «Chissà,» si chiese, «come è morto quell'uomo in
casa?» Ma se li aveva immaginati lui, non esistevano realmente per davvero, quindi non era poi proprio un omicidio,
in quanto aveva solo eliminato una fantasia.
Però pensava che le forze dell'ordine lo stessero cercando proprio per quello, anche se lui "sapeva",
di non avere fatto niente del genere. Credette di stare diventando matto e si distese e tornò a dormire.
* * *
Il grosso fuoristrada arrancava sui tornanti che portavano a Pian Lavarino. I fari illuminavano il vapore
dell'umidità della notte, insieme alle falene e a tutti gli insetti notturni. Un grosso uccello, probabilmente
un gufo, spaventato dal rumore del motore, si staccò dal ramo di un castagno e, volando basso, attraversò il
campo visivo del guidatore, passando a meno di due metri dal parabrezza e scomparendo nella notte.
Nel bosco sottostante la strada, un femmina di cinghiale con tre piccoli, che stava scavando nel terreno alla ricerca di
tuberi, fuggì a valle, seguita dai piccoli, senza che l'uomo, concentrato sulla guida, se ne accorgesse.
L'auto sobbalzava nei tratti sterrati, e il motore ruggiva poderoso, con la marcia bassa. Giunto sul piazzale della
chiesetta di San Valeriano, rallentò appena, poi proseguì nel prato ad nord est della chiesa.
La chiesa all'interno era decorata di varie decine di quadri votivi di ringraziamento, per bambini ed adulti caduti
accidentalmente nell'orrido dietro la chiesa, e salvatisi miracolosamente. La grossa auto evitò tutti gli
alberi che avrebbero potuto ostacolarla, nella sua folle corsa, impedendole di cadere nel precipizio. Uno schianto
lacerò il silenzio della notte, quando l'auto raggiunse il fondo. Quasi subito divamparono le fiamme, che
nessuno poteva vedere.
L'uomo che dormiva nella casa davanti alla fontana, ad una ventina di metri dalla chiesa si svegliò di
soprassalto. Uscì sul balcone in pigiama, ma non vide ne' sentì più nulla. La notte a Pian
Lavarino era ritornata tranquilla.
* * *
Egidio Melis fu svegliato da un rigurgito acido. Si precipitò in bagno e sputò. Pensava che avrebbe vomitato,
ma il suo inconscio ormai aveva rimandato indietro il bolo di cibo e bloccato il movimento antiperistaltico. Subito gli
tornò in mente il sogno che stava facendo prima di svegliarsi e lo analizzò assaporandolo. Era seduto a
tavola ingurgitando i cibi più disparati, alla rinfusa. I suoi commensali erano un misto di gente di Esterzili,
parenti defunti, montanari di Paesana, e, di fianco a lui, lei. Elisa. Sotto il tavolo, la mano di Egidio risaliva
languidamente le cosce di Elisa fino all'inguine dove indugiava a lungo. Tutti gli altri commensali sembravano non
esistere, o, se esistevano, si trovavano in un altro universo.
Ma, prima ancora del sogno "alimentare-sensuale", ricordava la sensazione di
essere in un grandissimo edificio
di forma ellittica. Forse una chiesa. Davanti a lui, anziani dai capelli argentei, gli uomini con una lunga barba dello
stesso colore. Lui si trovava in una fila di giovani, allineati di fronte agli anziani. Nella fila, accanto ad Egidio,
Elisa.
Che sogno bizzarro. Sentì che sarebbe stata una mala giornata quella. Se il buon giorno si vede dal mattino...
Da quando Elisa era scomparsa, era fuor di dubbio che il maresciallo mangiava male. Molto male. Stanco di andar ramingo
per ristoranti, perché nello stato d'animo in cui si trovava, detestava stare fra la gente, aveva deciso di
arrangiarsi solo in casa, dopo aver rinunciato a cercare fra domestiche delle nazionalità più disparate,
qualcuna che potesse sostituire, almeno come domestica e cuoca, la scomparsa Elisa.
Non avendo ne' tempo, ne' voglia di cucinare come si deve, finiva per accontentarsi, quasi sempre di una fetta
di salame, un pezzo di formaggio, un bicchiere di vino, con, a volte, la variante delle sardine sott'olio oppure il
tonno, al posto del salame, dato che amava il pesce al di sopra di tutti i cibi.
Una dieta non consigliabile a nessuno. Non in modo continuativo. Ma era anche, e soprattutto, il morale che stava sotto le
scarpe, cosa che non giova ad una qualità di vita decente.
Dopo la parentesi idilliaca con Elisa, durata circa tre mesi, durante la quale Egidio pareva muoversi e camminare senza
toccare terra, la depressione più nera. Scapolo impenitente per più di quarant'anni, Egidio si era
sentito, in quel periodo aureo, quasi felice, quasi innamorato. Non voleva riflettere su questa cosa, per paura di
guastarla, giacché sapeva che nella riflessione, si sarebbe insinuato il senso di colpa di rubare la felicità
a qualcun altro, legittimamente legato ad Elisa.
Elisa si svegliò pensando ad Egidio. Al suo fianco nel letto, suo marito russava lievemente, forse in un sogno
beato, almeno a giudicare dalla sua espressione felice nel sonno. In quei giorni si andava interrogando su ciò che
aveva fatto ad Egidio. Cosa provava per lui? Non aveva dubbi. Si trattava di amore. Non aveva però il coraggio di
ammettere, nemmeno con se' stessa, che era un amore più grande, più travolgente di quello provato per
il marito, molto tempo prima, sostituito ormai dalla consuetudine, da un affetto forse meno intenso. Ma la sua educazione
morale non le permetteva vie di scampo. Aveva promesso amore e fedeltà a suo marito in una chiesa, il giorno delle
sue nozze, e non lo avrebbe abbandonato. La sua era stata una sbandata, si andava dicendo.
Ecco cosa stava sognando, prima di svegliarsi.
Era in chiesa il giorno delle sue nozze. Ma al suo fianco, nel banco riservato agli sposi, non c'era suo marito, ma
Egidio. Per questo il sogno era stato così soddisfacente, e si era sentita delusa, al risveglio, che si trattasse
soltanto di un sogno.
Non un solo sacerdote sull'altare di quella chiesa, ma molti, anziani. Fra essi anche delle
donne.
Lei ed Egidio, non erano i soli sposi, quel giorno. Parecchie coppie erano allineate nella grande chiesa.
Non voleva nemmeno pensare a quell'altra cosa che aveva fatto ad Egidio, perché quella era il lato più
bieco del suo comportamento con lui. Aveva agito d'istinto, senza pensare. Le pareva, in parte per discolparsi e
alleviare la propria coscienza dal peso di ciò che aveva fatto, in parte perché credeva veramente di
"sentire" la vicinanza della sua nonna defunta da tempo, che fosse stata la nonna appunto, a suggerirle il da
farsi in quella occasione.
«E brava!» Le diceva una vocina «così ti sgravi la coscienza di un pesante fardello, addossando
la colpa delle tue azioni ad una persona morta, che non può difendersi.»
Si alzò silenziosamente e andò in cucina, tanto, sapeva che non avrebbe ripreso sonno ormai. Bevve un
bicchiere d'acqua. Lo riempì nuovamente e si sedette al tavolo della cucina, nella penombra di una mattina
ancora troppo giovane per essere colta.
Sì, l'impulso iniziale era stato inconscio, istintivo, irrazionale, ma poi? Poi si era accorta di stare molto
bene con Egidio. Di essere divorata da una passione troppo grande, che le faceva desiderare, in quei giorni, di essere
sempre con lui. Una passione che non sentiva insana, nonostante fosse adultera al di là di ogni ragionevole dubbio.
Una passione che sapeva essere amore con la "A" maiuscola.
Si toccò la pancia che cominciava ad essere arrotondata sotto la camicia da notte.
La difficoltà più grande, il dubbio più lancinante, era stato, durante e anche dopo, fare l'amore
con suo marito. Le pareva che questo potesse infangare la creatura che ormai, sicuramente, stava crescendo dentro di lei.
Le sembrava di fare del male ad Egidio, a suo marito e a se'stessa.
Ma ormai la cosa era andata troppo avanti per fare marcia indietro. A volte avrebbe voluto cancellare quello che era
successo, per ritrovare la serenità di prima. Ma tornare indietro, ormai non era possibile. Inoltre avrebbe dovuto
rinunciare alla creatura che aveva in grembo e lei l'aveva desiderata troppo per poterlo fare. Non vi avrebbe
rinunciato per tutto l'oro del mondo.
Infine c'era il fatto che i mesi con Egidio erano stati il più bel periodo della sua vita. Tanto è vero
che la cosa era durata molto più del necessario. Aveva continuato a frequentarlo e a fare l'amore con lui,
molto dopo la certezza matematica di avere concepito un figlio da lui.
Molto dopo averlo usato come riproduttore. Ecco. Era finalmente venuta fuori l'espressione brutale ma adeguata,
dell'orrenda cosa che aveva fatto. Pianse a lungo e in silenzio, chinata sul tavolo in cucina. Pianse tutte le sue
lacrime.
Poi andò a farsi una doccia, per eliminare dal suo viso le tracce della sua tristezza, del pianto, e forse nel vano
tentativo di lavare almeno un poco quella sua tormenta coscienza. Prima che si alzasse suo marito e la sorprendesse
così.
* * *
Andrea si svegliò più sereno. Aveva sognato che la sua missione nel mondo era quella di scrivere.
Riprese la vecchia agenda e rilesse le ultime cose che aveva scritto, sperando di non smarrirsi nuovamente, filosofando
e pensando. Come aveva ragione il cantautore a dire che "per chi non è abituato, pensare è
sconsigliato". Lui era abituato, eppure...
Ripercorse tutti i ragionamenti di poco prima. Si arrestò sull'idea dell'uomo creatore di realtà,
senza più considerare se stesso come scrittore, ma tornando al se stesso di tutta una vita di progettazione
meccanica.
Dunque l'uomo crea attraverso le idee. Ma un momento. Qui ci vorrebbero i geni del CICAP, i quali sicuramente
negherebbero l'esistenza delle idee, in quanto intangibili, silenziose, invisibili, inodori ed insapori, persino
quando si tratta di idee che poi danno vita ad una nuova ricetta culinaria.
Le idee come ipotesi metafisiche. Sorrise al pensiero di tutte le trasmissioni televisive in cui i pedanti rappresentanti
del CICAP facevano la parte dei San Tommaso, a tutti i costi, volendo mettere il dito per credere. Sicuramente per costoro
le idee non esistono. Forse essi stessi non ne hanno mai avuta una. Originale intendeva Andrea. Se le idee non esistono,
in quanto entità astratte e indimostrabili, non riproducibili in laboratorio, tutto l'edificio culturale in
cui Andrea credeva e tentava di sondare, crollava. Ma era innegabile che le cose stavano così, con o senza CICAP.
La sua stessa professione di progettista consisteva nel forzare le idee a diventare oggetti reali. Ma c'era molto
di più: aveva letto di qualcuno che sosteneva che, se il "gregge" portava avanti un pensiero univoco,
ecco che questo pensiero diventava qualcosa di reale che prendeva forza dal pensiero di molti. Ad Andrea non sembrava
poi una ipotesi così peregrina. L'esempio che faceva l'autore di questa idea, folle per il CICAP, ma
non per Andrea, erano gli oggetti tecnologici complessi come le automobili. Le auto venivano costruite oggi, con materiali
sempre più scadenti rispetto alla loro funzione, non abbastanza resistenti secondo i calcoli ingegneristici che
sono alla base della progettazione, eppure funzionavano molto meglio, rispetto ai pioneristici modelli delle prime auto,
in condizioni molto più usuranti di allora. Era "l'effetto gregge": molte persone "credevano che
funzionassero" e così era, a dispetto delle leggi conosciute della fisica sulla resistenza dei
materiali. Magari duravano meno delle prime automobili, ma questa era un'altra faccenda, magari voluta
espressamente da chi ha progettato, non l'auto, ma la società di consumi, il che è un altro
discorso.
Mise da parte, per ora, il CICAP, per non perdersi nuovamente nell'onnipresente vortice della follia, che in qualsiasi
momento poteva attrarlo nel suo gorgo irresistibile, visto che continuava a girarci attorno. Si ripropose di trovare in
seguito una argomentazione convincente sull'esistenza delle idee.
L'uomo creatore di realtà. L'uomo si ripropone di creare case, ponti, tunnel, macchinari sempre più complessi e miracolosi e vi riesce. In questa epoca di prodigioso sviluppo tecnologico, solca i mari ed i cieli e si spinge addirittura oltre, con le sue macchine potenti e prodigiose. Viaggia per il cosmo nel sistema solare e, magari in un futuro prossimo, anche oltre. Qualcuno ha addirittura fantasticato i viaggi nel tempo. Andrea non trova nulla di strano nemmeno in questo, ripensando all'ipotesi precedente dell'inesistenza o irrealtà del tempo stesso.
L'uomo e la sua tecnologia si spinge anche nell'infinitamente piccolo. Costringe le particelle a scontrarsi fra
di loro, creando immense quantità di energia, grazie al loro scontro, che le distrugge.
Nell'infinitamente piccolo, materia ed energia si alternano.
La scienza è diventata ormai così complessa e articolata, che gli scienziati hanno dovuto, per forza di cose,
diventare tutti quanti specialisti in un settore di essa estremamente limitato. Così nessuno ha più una
visione globale della conoscenza umana.
Ma, come ci ammoniva Fedro, la madre di tutte le scienze, quella più gerarchicamente elevata, è la filosofia,
dalla quale, ad una ad una, si sono distaccate poi tutte le altre specializzazioni. Allora ecco la soluzione del problema
dell'esistenza delle idee. Non possono i membri del CICAP, specialisti di un qualche settore, medicina, fisica,
biologia, ingegneria, quello che ciascuno di loro è, occuparsi della questione delle idee, o dell'epistemologia
scientifica.
Non è di loro pertinenza. è un compito che spetta al filosofo, riflettere su quale deve essere il metodo
scientifico adeguato di volta in volta. Filosofi, non filosofologi, perché la differenza tra queste due
categorie è fondamentale: i primi "producono" le idee, mentre i "filosofologi" non fanno
altro che giocherellare con le idee degli altri. Ecco che spuntava il secondo libro del Pirsig. Ma rimane pur sempre da
spiegare da dove arrivano le idee nuove.
Del resto la scienza non è mai stata uguale a se' stessa fin dai suoi albori. I suoi paradigmi hanno dovuto
mutare per potersi adeguare alle nuove scoperte scientifiche e poterle comprendere.
La visione tolemaica dell'universo prevedeva una terra piatta, al centro dell'universo stesso, attorno alla
quale ruotavano tutti gli altri corpi celesti. I rappresentanti del CICAP di allora, imprigionarono i Galilei, i Giordano
Bruno, avversarono in ogni modo le teorie di Newton.
La scienza ha sempre avuto la pretesa di essere una ortodossia.
La fisica newtoniana sembrava essere il punto di arrivo finale della fisica, con le cui leggi accertate, tutti i fenomeni
fisici potevano essere compresi. Fino all'arrivo di Einstein e alle evoluzioni della fisica delle particelle
subatomiche.
Lì i fisici sbatterono a lungo contro un muro.
Le particelle non obbedivano alle leggi della fisica newtoniana. Le particelle sembravano talvolta comportarsi come
materia, e talvolta come energia. Ci si doveva contentare di una analisi statistica delle possibilità: materia o
energia, con le stesse probabilità. E, peggio di così non poteva andare.
Si scoprì che la figura dello sperimentatore, poteva influenzare il risultato dell'esperimento. La presenza del
CICAP, dunque, potrebbe influenzare la prova.
Particelle separate tra di loro sembravano influenzarsi a vicenda, anche da molto lontano. Infine, per concludere tutto
ciò che Andrea aveva letto sulle meraviglie della fisica subatomica, che sconvolgevano in pratica il suo stesso
mondo di acciaio e di macchine per l'asportazione del truciolo, le quali servivano per modellare i pezzi della forma
voluta al fine di concretizzare le idee del progettista in macchinari funzionanti. Einstein stesso aveva ipotizzato che
esistessero molte più dimensioni delle conosciute coordinate spazio temporali.
Universi paralleli potevano coesistere uno di fianco all'altro, forse bloccati ad epoche temporali diverse. Anzi,
adesso che ci pensava, tutto questo poteva indicare anche che il tempo non esistesse affatto, se viaggiando ad una
velocità superiore a quella della luce, il viaggiatore non invecchiava. Addirittura poteva tornare più
giovane di quando era partito.
I paradossi della "cosmogonia newtoniana", avevano almeno il pregio di cacciare dalla porta gli esperti del
CICAP, ma si poteva stare sicuri che essi avrebbero tentato di rientrare dalla finestra, perché i conservatori
oscurantisti non muoiono mai.
Come recita un proverbio piemontese, la mare dij balengo a l'è sempre pien-a.
Doveva terminare il suo ragionamento sull'uomo creatore di realtà.
* * *
Melis seduto nel suo ufficio, stava tentando di fare il punto sulla situazione, da quando l'incubo preannunciatogli
dal capitano Palmieri era iniziato. Un morto ammazzato e un disperso. Mentre quel bell'imbusto dei servizi considerava
il secondo un assassino in fuga, lui Melis, che cercava di essere il più obiettivo possibile, si rifiutava di
considerarlo colpevole, anche se il morto era stato trovato in casa sua e lui era sparito da giorni.
Dalle testimonianze della vicina e della moglie del Novelli non aveva ricavato informazioni utili all'indagine.
La vicina era arrivata solo la mattina del ritrovamento, come la moglie del Novelli del resto. Tutto ciò che era
avvenuto lì in quella casa non aveva testimoni. Al maresciallo pareva peraltro che il tenente Bellassai, quello dei
servizi, la sapesse lunga. Ma faceva piuttosto intendere di considerare colpevole il Novelli. Senza spiegare cosa potesse
fare la vittima, un americano che sicuramente era anche lui dei servizi, e quasi certamente della mafia, in quella casa
nella sua "parrocchia".
Il vicino era un tipo che parlava poco, bisognava cavargli le parole di bocca. Troppo anziano per poter piantare un
coltello in pancia e rigirarlo, soprattutto considerando la stazza della vittima, che, quando stava in piedi, doveva
essere un uomo impressionante.
– Maresciallo, c'è di là un uomo che parla una lingua strana. Io non lo capisco. Ripete sempre la
stessa solfa e pare molto agitato.
De Ieso interruppe il corso dei pensieri del maresciallo Melis. Del resto, non aveva granché da rigirarsi in mente,
nel caso specifico, e già stava tornando col pensiero a sua madre, che avrebbe visto soltanto la settimana
successiva.
– Fallo entrare, De Ieso.
– Agli ordini, maresciallo.
L'uomo, piccoletto e grassoccio, con in testa un basco blu, ën porilo, come dicono qui in dialetto, di quelli
che portavano in molti lavoratori un tempo, da queste parti, e anche, soprattutto, in Francia. Il viso arrossato,
probabilmente per l'agitazione di trovarsi di fronte all'autorità, l'ultima cosa che avrebbe
desiderato, se non costretto dalla necessità di riferire o denunciare qualche cosa.
– Mi dica, signor...?
– A ij'è 'na vitura 'n sla bropa. Ën darmage.
A Melis, che pur era su quei monti da molto tempo e cominciava a comprendere il dialetto locale, quella frase suonava come
un mantra tibetano senza significato, tanto più che l'uomo, vedendo i visi interrogativi dei suoi interlocutori
che sembravano non comprendere cosa stesse dicendo loro, la ripetè più volte sempre più veloce, nel
vano tentativo di farsi comprendere. «Evidentemente,» pensò Melis, «venendo qui se l'era
ripetuta mentalmente più volte, la frase da dire, e non vedeva alternative per spiegarsi meglio». L'uomo
sembrava un sempliciotto di montagna, non molto istruito, di quelli che scendono in paese una decina di volte l'anno,
per i rifornimenti e per le feste dove c'è da bere.
Melis ci pensò un po' su, poi disse a De Ieso di andare a chiamare un commerciante lì vicino, che
facesse da interprete. Lui non ce la faceva. Per quanto analizzasse la frase, non ci si raccapezzava.
Nell'attesa dell'interprete, Melis pensò di cercare di mettere a suo agio l'uomo, offrendogli da
bere. Nel dirglielo, tentò di usare, come sapeva, un poco di dialetto locale. – Pos...offrirte...un bicier d'acqua?
– Ëd vin. Grassie.
Almeno questo era chiaro. L'acqua non la voleva e preferiva il vino. Un minimo di intesa ci poteva essere. Parlava il
dialetto del posto, anche se piuttosto stretto, e non avrebbe dovuto cercare in Paesana un interprete in quechua o
sanscrito. Di questi tempi, con tutti gli extracomunitari in giro, non si sa mai. Fece il gesto con la mano di attendere
seduto nel suo ufficio, quindi andò nel locale dove i Carabinieri di servizio cucinavano e mangiavano, alla ricerca
di una bottiglia e due bicchieri.
Tornò con un bottiglione di corposo Montepulciano pieno per metà e due bicchieri, che riempì a
metà. L'uomo, che adesso si era tolto il basco e se lo rigirava nella mano, probabilmente preso dal pensiero,
mentre era rimasto solo, che toglierselo avrebbe mostrato un segno di deferenza e rispetto per il maresciallo,
accennò un sorriso alla vista del bottiglione. Al posto del basco mostrava una calvizie incipiente, ma, nel
complesso il suo volto era simpatico, bonaccione.
Melis accennò un brindisi e, prima che avesse potuto portare alla bocca il suo bicchiere, l'altro l'aveva
già svuotato. Tralasciò di bere il suo e glielo riempì nuovamente. Come prima, il bicchiere fu vuoto
prima che Melis avesse il tempo di posare il bottiglione sul tavolo. Questa volta fece finta di niente, e bevve un sorso
del suo. «Non male, per essere un vino da supermercato.» pensò fra se'.
Riflettè sul fatto che probabilmente l'uomo viveva con un poco di campagna, magari una mucca o due e, di
questi tempi, anche facendo lavori di manovalanza in giro, non era facile sbarcare il lunario, perciò il vino
doveva essere un lusso che poteva permettersi di rado. Lentamente gli riempì di nuovo il bicchiere, con lo stesso
risultato delle volte precedenti. Centellinare il vino per assaporarlo doveva essere un concetto sconosciuto per
l'uomo di montagna. Sperò che De Ieso tornasse presto con l'interprete, prima che il suo testimone di
chissà cosa, fosse ubriaco, e per toglierlo dall'impiccio della imbarazzante e odorosa compagnia. Che
l'uomo avesse una o più mucche da accudire, ormai sarebbe stato chiaro a chiunque fosse entrato
nell'ufficio del maresciallo. Con nonchalance Melis andò ad aprire un tantino la finestra, poi tornando
alla scrivania pensò di chiedere nuovamente il nome del suo ospite. – Coma... te ciame?
– Natalin.
Il dialogo era terminato. Che fare ora? Per fortuna arrivò De Ieso con l'interprete. Il tabaccaio del paese
conosceva l'uomo. Lo salutò, e si fece spiegare che cosa fosse successo, perché fosse venuto lì.
In breve, si comprese che l'uomo, quella mattina era andato a funghi. La notte precedente era piovuto e col calore e
la luna giusta, sicuramente era spuntato qualcosa, che l'uomo avrebbe venduto per due soldi a qualche commerciante
del posto, che avrebbe guadagnato il doppio, approfittando del fatto che l'uomo era un pochino sprovveduto e senza
alcuna istruzione. Aveva trovato un auto «su un castagno, dice» in un burrone.
– Gli chieda dove è andato a funghi. – Ën tij bosch.
«Domanda sbagliata, risposta ancora peggio. Ti sta bene, maresciallo.» Pensò fra se' Melis. La
gente del posto, mai e poi mai avrebbe fatto riferimento ai luoghi dove andavano per funghi, gelosi del fatto che i
forestieri andassero per boschi a togliere loro una modesta fonte di reddito. Sorrise dentro di se'.
– Gli dica di accompagnarci dove c'è l'auto.
* * *
Quella mattina, Anna, quando vide l'amico di suo marito, accompagnato dalla moglie, che veniva a casa loro,
scoppiò a piangere e pianse per un bel pezzo, mentre la vicina e l'amica sopraggiunta cercavano di consolarla.
Aveva dormito pochissimo in casa della vicina, nonostante la tisana calmante, che questa le aveva preparato la sera prima.
Non riusciva a togliersi dagli occhi l'immagine di ciò che aveva visto in casa sua la mattina. Giurò a
se' stessa, mentre si rigirava in quel letto estraneo, che non sarebbe mai più entrata in quella casa, che
pure l'aveva tanto entusiasmata quando l'avevano acquistata. Era successa una cosa troppo brutta. Una cosa che
non si sarebbe potuta cancellare da quei muri, nemmeno chiamando un esorcista. Lei si immaginava l'anima di
quell'uomo ucciso, che si aggirava per le stanze di casa sua, probabilmente inconsapevole di essere ormai tra i
trapassati, come accade spesso ai morti di morte violenta.
Inoltre l'angustiava non sapere dove fosse suo marito. Che cosa gli era successo? Perché era scomparso
così, lasciando casa aperta? Cosa centrava lui con quel morto trovato in casa sua?
Il maresciallo Melis non sembrava convinto che l'assassino fosse Andrea. Lei ne era assolutamente sicura. Ma
perché ancora non telefonava?
Dopo aver ripercorso fra i singhiozzi, tutti i ragionamenti già fatti la notte, rigirandosi fra le lenzuola, diede
una occhiata a casa sua, dal cortile della vicina, constatando che i Carabinieri avevano teso i nastri bianchi e rossi
tutto intorno, ed avevano appiccicato un foglio sulla porta d'ingresso. Infine, finalmente, le venne il dubbio che
Mario, l'amico di suo marito, forse non era lì per caso, con la moglie, in visita a metà settimana, ma
forse aveva notizie di Andrea. Anna imprecò per la propria stupidità, che le aveva regalato un'altra
mezz'ora d'angoscia, mentre avrebbe potuto sapere tutto fin dall'arrivo di Mario.
Lui le raccontò tutto quello che sapeva, mentre tutti e tre, Anna, Mario e la moglie Ada, camminavano nel grande
prato verde del cortile dei suoi ospiti.
– Vado subito a San Bartolomeo!
– Ma è proprio quello che ha detto di non fare. Se la storia che qualcuno sta dando la caccia ad Andrea
è vera, probabilmente qualcuno ti seguirà...
– No, io non posso credere...Che cosa dovrei fare secondo lui? Starmene qui dalla vicina senza sapere cosa diavolo
sta succedendo? Poi, comunque non posso stare dalla vicina in eterno. Casa mia è sotto sequestro giudiziario, ma,
anche se non lo fosse, io la dentro non ci vado, dopo quello che ho visto. Figuriamoci se ci dormo sola! Dove vado?
– Potresti venire a startene un po' da noi, così parliamo un poco, e magari ti sfoghi e ti liberi di
quanto è successo. Oppure andartene da tua madre, lontano da questa casa e al sicuro.
Intervenne Ada. Ma Anna non era convinta. Voleva starsene a casa sua con suo marito.
– A San Bartolomeo c'è lui. Io voglio vederlo, parlare con lui di persona. Voglio sapere perché
sta fuggendo. Perché non si presenta dai Carabinieri di Paesana per chiarire questa faccenda?
– Te l'ho detto. Ha paura. Se quello che mi ha raccontato è tutto vero, anche se mi sfuggono le
motivazioni di tutto questo, anche io avrei paura e diffiderei di tutti, Carabinieri compresi.
– Senti, Mario, io capisco le tue e le sue ragioni, ma cercate di capire me. Fammi il piacere. Tirami fuori
l'auto dal garage che parto subito.
– Va bene. Come vuoi tu. Lascia almeno che ti accompagniamo al mare.
– No, guarda, non è necessario. Voi sapete bene che io là mi sento come a casa, perciò, vi
ringrazio, ma non è necessario, posso benissimo andarci sola.
* * *
Andrea decise che sarebbe uscito un po'. Vedere gente l'avrebbe allontanato dallo spettro della follia, che lo
attendeva fra le riflessioni lasciate a metà.
Decise che avrebbe chiuso tutto e preso lo zaino con tutte le sua cose, nel caso avesse dovuto fuggire ancora. Sì,
non era una cattiva idea tenere sempre lo zaino pronto. Questa idea gli ricordava le prediche in chiesa tanti anni prima,
quando era molto assiduo a frequentare le messe. In caso di funerali, il predicatore diceva sempre che era bene essere
sempre pronti a partire, nel caso giungesse inaspettata la chiamata della morte. In ogni caso, quella chiamata sarebbe
stata inaspettata. Tutti sappiamo di dover un giorno morire. Ma non oggi.
Preparò lo zaino con cura. Mise un cambio di biancheria e di vestiti, spazzolino, rasoio e asciugamano. Non voleva
fare il barbone come nei giorni precedenti. Una bottiglia d'acqua. Andava in giro con uno zaino un po' pesante,
ma era pronto ad ogni evenienza. Infine aggiunse la vecchia agenda sulla quale stava scrivendo ora, e il libro del Pirsig.
Diede un'occhiata allo scaffale dei libri, e prese anche Il punto di svolta del Capra. Sarebbe stato utile se avesse
terminato il primo. Inoltre era in tema con le riflessioni che andavano emergendo.
Era già sul pianerottolo con lo zaino in spalla e la bicicletta, quando gli venne in mente di scrivere una lettera
alla moglie. Lasciò la bici sul pianerottolo e rientrò a scriverla. C'era un blocco di appunti sulla
mensola del termosifone, vicino ai libri già letti che lasciavano lì. Libri da vacanza. Si sedette al tavolo
e iniziò a scrivere.
Cara Anna,
prima di tutto sappi che ti voglio bene e che mi spiace molto non poterti vedere. Qualunque cosa dicano di me i Carabinieri
o i giornali, sappi che io non ho fatto nulla. Non c'entro nulla con il morto trovato in casa nostra. Io ero in
montagna, stavo scappando proprio da lui e dal suo compare, che al mattino presto sono entrati in casa nostra armati di
pistole munite di silenziatore. Lo so che sembra un giallo, un telefilm di infima qualità, ma è proprio
ciò che è successo. Quando li ho visti sono fuggito sulla porta del retro. Per fortuna che l'abbiamo
aperta, quando non ve ne erano di porte da quella parte. Forse quella porta mi ha salvato la vita. Non so che intenzioni
avessero quei due, ma nel dubbio ho messo poche cose in uno zaino e via sui monti. Per fortuna ero solo e sono allenato
alla montagna.
Quando poi ho visto il compare del morto confabulare con i Carabinieri, ho perso anche la speranza di poter denunciare
quello che mi era successo. Di chi potrei fidarmi?
Se troverai questa mia, sarà perché sono stato costretto a fuggire. Stai molto attenta se qualcuno ti segue:
credo che vogliano arrivare a me seguendo te. Non si può escludere che possano anche prendere te per fare uscire me
allo scoperto. è gente priva di scrupoli: per questo motivo mi ero tanto raccomandato con Mario che tu non
venissi qui nel modo più assoluto. Credo sia gente dei servizi segreti, e devono avercela con me per qualcosa che
ho scritto nel mio libro pubblicato da poco. Se fuggo da San Bartolomeo, tu sai dove vado ma non seguirmi.
Lo so che sto dicendo una cosa inutile, perché sarà la prima cosa che farai. Tu non dovresti essere qui, se
avessi ascoltato il mio consiglio, saresti da tua madre o dai nostri amici.
Dato che sicuramente tenterai di raggiungermi, ascolta almeno qualche mio consiglio. Per prima cosa, non portare con te il
tuo cellulare: ti possono individuare come hanno fatto con me in montagna. Preleva dei contanti a San Bartolomeo, per un
lungo periodo. Esci di casa in ciabatte come se andassi soltanto a comprare il pane (le scarpe le puoi sempre mettere
nella borsa). Non portare valige, non prendere l'auto, in modo che, se qualcuno ti sta osservando non si insospettisca.
Se non ti seguono, e ne sei assolutamente certa prendi il treno. Non fare subito il biglietto per la destinazione finale.
Fermati in qualche grande città e rimanici un giorno e una notte, per guardarti intorno ed accertarti di non essere
seguita. Se soltanto hai un minimo dubbio che ti seguano non venire dove io sono. È un luogo sicuro e non
bruciamolo. Se ti accorgi che ti seguono, cambia strada, torna indietro, oppure prendi un'altra direzione, per sviarli
eventualmente.
Spero che questo incubo finisca presto, perché siamo un po' vecchi per giocare a nascondino con gli agenti
segreti.
Ti bacio.
Andrea.
Si guardò intorno per decidere dove lasciare la lettera. Non voleva lasciarla in bella mostra sul tavolo. Non che
ci fosse niente di compromettente o che indirizzasse i suoi inseguitori da qualche parte, ma con quella gente non si sa
mai. Avrebbero potuto riscriverla, imitando la sua calligrafia, dando istruzioni diverse ad Anna. Anche se poi tanto
sapeva che lei non avrebbe seguito alla lettera istruzioni sue o di altri.
Gli venne in mente di chiudere la saracinesca generale dell'acqua. Posò lì la lettera e richiuse lo
sportellino di legno nel bagno. Uscendo dette un'occhiata distratta al calendario appeso sulla porta. In questi
ultimi giorni aveva perso la nozione del tempo. Che giorno era? Guardò con più attenzione. Giovedì 6
settembre.
Il cerchio intenso della luna nera, la luna nuova, attrasse la sua attenzione. Martedì prossimo sarebbe venuta la
luna di settembre, la luna dei funghi, e lui non era a Paesana, e chissà quando avrebbe potuto tornarci. Se mai avesse
potuto tornarci.
Martedì 11 settembre 2007.
Lo colse il gelo lungo la spina dorsale. Ricorreva la fatidica data. L'avrebbero usata di nuovo? A distanza di soli
sei anni?
La volta prima era trascorso molto più tempo, da quando il premio Nobel per la pace, Henry Kissinger, aveva
organizzato quello scherzetto ai cileni, per aver eletto un comunista alla guida del paese, quel martedì 11
settembre 1973. Quanto sangue e quante lacrime erano stati versati. Non sapevano i cileni che il comunismo nelle americhe
non l'avrebbero mai permesso?
Andrea si chiedeva cosa sarebbe successo questa volta. C'era nell'aria, almeno per l'informazione che
cercava lui su internet, l'altra informazione, non quella dei media ufficiali asserviti al sistema, un timore per le
borse, l'economia. Si temeva un nuovo venerdì 29 ottobre 1929. ecco ancora i numeri dal significato occulto.
Per i primi avvenimenti, 911, undici la forza, nove l'eremita. La forza dell'eremita. Del grande vecchio con la
lanterna che porta la luce, di Lucifero ovviamente, alle tenebre che avvolgono l'umanità. Il grande vecchio
banchiere, che, con la forza dei denari, può comprarsi spade e bastoni al suo servizio, per fare ciò che
più gli piace. Con la coppa della conoscenza, che, prezzolata, controlla le menti degli schiavi. Il grande vecchio che
con i denari si compra i politici, i re e gli imperatori.
Guarda caso lo stesso numero che si fa per chiamare la polizia negli Stati Uniti. Una operazione di polizia, per gli iniziati?
Ma se dici queste cose, fai della "dietrologia". Come se tutto ciò che succede nel mondo fosse progettato
dall'innominabile grande vecchio. Chissà perché alla gente suonava così ostico che i fatti sociali
e politici, fossero progettati, proprio come le macchine, i treni, gli aerei, le astronavi, i personal computer?
Si voleva far passare il luogo comune che nel sociale, in economia e nel politico, le cose accadessero per caso fortuito.
Scoppia una guerra, una rivoluzione, casualmente, senza che nessuno le abbia progettate. Seconda guerra mondiale: risultato
finale, cinquanta milioni di morti. Per puro caso.
Lui, che aveva fatto il progettista per tutta la vita, lo sapeva bene, con quanta meticolosità andavano progettati i
macchinari, affinché funzionassero.
Nei fatti sociali, economici e politici, molto più complessi delle macchine, affinché tutto alla fine andasse
nel modo voluto, era necessaria molta più meticolosità nella progettazione, che non per le macchine. Molti
fattori umani in gioco, più imprevedibili della materia inerte di cui son fatte le macchine.
Probabilmente, si voleva far passare l'idea che lo scoppio delle guerre, o delle rivoluzioni, fosse il fallimento,
causato da eventi fuori controllo, della pace, dello status quo. In realtà, ciò che succedeva in quei casi,
guerre e rivoluzioni, era funzionale a qualcuno, il grande vecchio, per ottenere un cambiamento desiderato.
La domanda da porsi, in quei casi, era la più semplice, ma per qualche oscura ragione, la meno ovvia. A chi giova
ciò che sta succedendo?
Giova forse al popolo, che scoppi una guerra o una rivoluzione? Nella maggior parte dei casi, gli umili perdono tutto, quando
sono così fortunati da salvarsi la vita. Giova a politici e sovrani. Forse, ma di riflesso. Il sovrano che fa scoppiare
una guerra, agli occhi del mondo, non ci fa un gran figurone. Fa soffrire e morire il suo popolo. Lo indebita per pagare gli
armamenti.
Sicuramente giova al vecchio banchiere che trama nell'ombra. A questo gli serve la lanterna. I debiti degli stati per gli
armamenti finiscono alla fine nei suoi forzieri.
In più, che non è poco, da uno status quo precedente, attraverso il caos creatore, si passa ad un equilibrio
successivo, più favorevole sicuramente a chi, avendo per le mani i cordoni della borsa del denaro, può
costringere tutti i belligeranti, ormai pesantemente indebitati con lui, ad un nuovo equilibrio, a lui più
favorevole.
Non è difficile arrivare a queste conclusioni estremamente logiche. Basta usare la propria testa, non i luoghi comuni
distribuiti gratuitamente, o quasi, dai media di regime.
Andrea uscì chiudendo bene entrambe le serrature, come se tornasse a Paesana e scese di sotto con la bicicletta in
spalla. Nella strada niente di
sospetto. Poca gente in giro, anche se era una bella giornata. Ormai era settembre ed il grosso dei turisti era tornato in
città, al lavoro. Restavano gli anziani, i pensionati.
Normalmente, quando stava al mare, al mattino andava a Cervo, oltre il Porteghetto, antico porto naturale fin dall'epoca
della dominazione romana, e forse anche prima. In basso, quasi a livello del mare, nascosta fra le rocce cadute nella
costruzione della ferrovia e gli ampliamenti successivi dell'Aurelia, era ancora visibile la tipica pavimentazione delle
strade di epoca romana.
Qualcuno, non sapeva più chi, gli aveva raccontato che tra il Porteghetto e la vecchia fornace, c'era una sorgente
di acqua dolce che sfociava proprio nel mare. Si era immerso molte volte alla sua ricerca, ma non l'aveva mai trovata.
L'indicazione era un po' vaga.
Era un posto tranquillo. Rocce che si immergevano gradatamente nel mare. Non molti turisti amano posti come quelli, per cui
Andrea ci andava per leggere e riflettere. Ma quella mattina voleva gente intorno. Optò per un parco con delle panchine.
Nei parchi si riesce ad instaurare dei rapporti estemporanei, con le persone. Conversazioni occasionali, che potevano essere
spunti di riflessione e occasione di raccolta di materiale, di aneddoti di vita, molto utili ad uno scrittore.
Normalmente andava in un parco di Oneglia, proprio sul mare, all'ombra di piccoli gelsi, vicino alla città ma non
troppo.
In fondo alla strada del condominio, partiva un sentiero, che poi diventava una piccola strada, che costeggiava la ferrovia a
monte, ed arrivava a Diano Marina.
Da lì, attraverso le strade centrali della cittadina, fra piante di aranci di cui nessuno si curava ed i cui frutti
cadevano in terra marci, mentre nei negozi la frutta veniva venduta a peso d'oro, si attraversava la piccola città,
fino ad arrivare, dopo una piccola salita, che in bicicletta faceva soffiare, all'estremità di ponente, dove si
dipartiva la Galeassa. La strada, costruita in epoca fascista, che era aperta solo ai pedoni ed alle biciclette. Tutta
pianeggiante, raggiungeva Oneglia a bordo del mare, costituendo una valida alternativa per i ciclisti più pigri, come
Andrea, che non volevano affrontare le salite, le discese, ma soprattutto il traffico, sempre intenso, caotico e pericoloso
dell'Aurelia.
Pedalando pensava al doppio ventinove del crollo della borsa, interrogandosi suo significato occulto. Nove, l'eremita,
due la papessa. Che cosa significava?
Un falso. La papessa era stato un falso clamoroso. Un falso uomo sul soglio di Pietro. Nel 1992, gli accordi di Mastricht, per
la moneta unica europea. Apparentemente tutti i falsi, recavano il 92 oppure il 29. Scoperta dell'America: nel 1492,
Colombo, con le mappe prese dagli archivi vaticani, "scopre" l'america.
In venticinque minuti, senza sforzi fu a destinazione nel parco che era la sua meta. Il vento di ponente l'aveva
ostacolato lungo tutta la Galeassa, ma l'avrebbe aiutato al ritorno. Scelse una panchina al sole, perché
anche lì, sul molo, dove sorgeva un moderno anfiteatro, il vento non scherzava, e sapeva per esperienza che non si
resiste all'ombra con quel vento: troppo freddo. Posò accanto a se' lo zaino e prese l'agenda. Rilesse
le ultime cose che aveva scritto.
L'anziana donna emanava un'aura di bellezza e autorità. Non si sarebbe potuta definire la sua reale età.
Non era una bellezza che attrae sessualmente. Era una bellezza che incute rispetto e ammirazione. Una bella persona. Un bello
spirito.
«Ringraziamo l'anziano che mi ha preceduto, per il suo insegnamento e la sua saggezza.
Lui ha introdotto me, dicendo che l'epoca che dovrete affrontare sulla terra, vedrà prevalere il sentimento sulla
ragione. Il femminile sul maschile. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da me, io devo invece fare appello alla ragione.
Il sentimento, la compassione, ma anche altri sentimenti più negativi, a caldo, non sono mai auspicabili. Tutti i
sentimenti devono essere temperati dalla ragione stessa, altrimenti si sarebbe preda degli istinti più atavici, delle
passioni. Si potrebbe riassumere meglio questo concetto, dicendo che ragione e sentimento devono espandersi e includere il
loro opposto affinché collaborino.
Non è una cosa facile. Il fatto è che l'uno e l'altra, da soli, non possono comprendere e spiegare
tutti i fenomeni del reale.
L'umanità, per secoli ormai concentrata sulla sola ragione, non riesce più a comprendere quegli altri
fenomeni, altrettanto reali, ma che devono essere compresi con il cuore, con il sentimento. La gente sente sempre di
più, questa esigenza e si rivolge all'occultismo, al misticismo, alle droghe, per comprendere quei fenomeni, che
sente essere reali, ma che la sola ragione non può, in alcun modo comprendere e spiegare.
Avrete un lavoro duro da fare e sarete, a volte, scoraggiati. Sentirete intorno a voi, una società umana, che poggia
sulla sola ragione, e sentirete che sarebbe troppo complicato spiegare determinati fenomeni, come la giustizia,
l'uguaglianza, la fratellanza, con i presupposti degli umani. Sarete tentati di rinunciare al vostro compito, che è
quello di riportare l'umanità sulla strada stretta e tortuosa dove ragione e sentimento vanno a braccetto. Loro
non lo vorranno fare, perché si sentiranno minacciati, abituati come sono a contare sulla sola ragione.»
Sì, aveva messo la tirata di Fedro, sulla Chiesa della Ragione, sulla necessità di allargare le radici
dell'albero della ragione, non soltanto espanderne i rami. Pirsig ci spiegava che Fedro era uno degli antichi greci, uno
dei fondatori della filosofia, della scienza, sulla quale poggia tutta la conoscenza attuale. Ma i greci credevano in cose
alle quali noi no crediamo più. Ad esempio credevano si potesse divinare sulla base del vento: nessuno oggi crede
possibile una cosa del genere.
Il problema è che tutto il pensiero greco, così come lo conosciamo oggi, ci è stato tramandato da
Aristotele, il quale, forse, odiava Fedro, oppure, forse, era uno dei primi occultisti. Di fatto buona parte delle radici del
pensiero moderno, della ragione, non ci è stata tramandata. Così noi adesso non riusciamo a spiegarci buona
parte del reale, con la ragione così come è oggi.
Ad Andrea veniva in mente un esempio, forse banale, per esemplificare questa parte del reale, che la ragione non sa spiegarsi.
Gli succedeva spesso, che gli venisse all'improvviso qualche cosa in mente, ad interrompere il precedente
"normale" flusso del suo pensiero. Poi arrivava Anna a dirgli proprio quella precisa identica cosa alla quale lui
stava pensando.
Oppure, sempre all'improvviso, senza che nulla potesse farlo presagire o associarlo in qualche modo con i suoi pensieri,
gli veniva in mente una persona precisa. E dopo poco quella persona arrivava veramente. Non erano fatti isolati, successi poche
volte. Erano cose che succedevano molto spesso.
Ma c'era un'altra cosa che gli sfuggiva sempre. Una cosa che aveva interrotto per paura di impazzire, ma forse no...
la paura era iniziata quando aveva preso un altro sentiero, quando il pensiero aveva deviato, rischiando di smarrirsi.
La cosa era il pensiero del creatore di realtà. L'uomo riesce bene in tutti i campi tecnologici, eppure fallisce
in alcuni settori specifici della conoscenza. Perché?
Il campo dove il pensiero tecnologico falliva di più, più clamorosamente, in base alle aspettative che si
avevano, facendo il parallelo con gli altri campi della scienza era la medicina.
Le aspettative esagerate della gente verso la medicina erano inculcate da una propaganda martellante, ma anche dal pensiero
che, se tanto mi dà tanto...dal paragone con le ingegnerie dei prodotti tecnologici. Che cosa c'è che non
va nella medicina così come è?
C'era da scriverci un libro solo su questo argomento. Capra l'aveva fatto. Il punto di svolta che aveva nello zaino,
era incentrato in buona parte sulla critica alla medicina occidentale, allopatica. Il punto debole era forse il progetto?
La domanda era ovvia, dato che Andrea voleva concentrarsi sull'uomo creatore di realtà, che riusciva in tutto,
meno che in quel campo. E in alcuni altri, ma meglio trattarli separatamente. Quale avrebbe dovuto essere un buon progetto per
una medicina funzionante?
La risposta ovvia sarebbe la salute. Come diceva Capra, i medici sanno tutto di tutte le patologie possibili, ma non sanno
nulla della salute, che dovrebbe essere il loro campo d'azione, il loro obiettivo precipuo. Perché in caso di
epidemie devastanti, alcuni individui si ammalano e altri no? Alcuni si ammalano in modo lieve e ne guariscono spontaneamente.
Era lì, che i medici avrebbero dovuto andare a scavare, se avessero voluto davvero migliorare il loro progetto della
salute. Invece scavavano altrove. Come se un cercatore di funghi, invece di andarli a cercare nei boschi, li cercasse nella
sabbia sul greto del fiume. Non ci sono i funghi sulla sabbia.
Un uomo sulla cinquantina, o forse più, aveva un aspetto giovanile, si sedette sulla panchina. Andrea richiuse
l'agenda che tanto aveva smesso di leggere da un pezzo, per fantasticare guardando il lontano orizzonte del mare. Quella
giornata era particolarmente limpida, tanto da consentire la vista della riviera di levante e intuire la vaga, inconsistente,
quasi eterea, Corsica a sud. Andrea si dispose alla conversazione con un altro essere umano, per la prima volta da giorni.
* * *
Egidio Melis abbassò il finestrino a metà. L'aria era già fresca, ai primi di settembre, ma nel
fuoristrada erano in troppi. Al suo lato sinistro, alla guida stava De Ieso; dietro l'interprete, Natalino con le sue due
mucche, presenti non fisicamente, ma come olezzo persistente. Perché l'assuefazione degli stimoli sensoriali
sembra essere più tardiva per gli odori sgradevoli che per i profumi più piacevoli?
Ci sono odori, come ad esempio quello degli animali in decomposizione, ai quali non ci si abitua mai. Mentre non si smetterebbe
mai di annusare il profumo del pane appena cotto, che però a lungo andare non senti più. Magari da lontano ti
attira la bottega del fornaio, ma dopo cinque minuti che sei nel negozio, l'odore del pane non lo senti più.
L'olfatto si è assuefatto. Fa anche rima. A Melis venivano in mente altri odori sottili, che gli ricordavano Elisa,
ai quali era meglio non pensare, non in quel momento, affinché non si guastassero nella sua mente.
In quattro nell'abitacolo con i finestrini parzialmente aperti, sembrava mancasse il respiro. Per fortuna avrebbero
dovuto essere quasi arrivati. L'auto aveva superato la borgata di Ghisola, aveva percorso per un tratto la strada per
Cianlungo, ed aveva infine attraversato il ponte di legno sul bial, per riprendere la strada per Pian Lavarino. La
strada vecchia di Pian Lavarino, che saliva direttamente da Ghisola, era franata in un punto da molti anni, e tutti avevano
preso a salire dall'altra parte. Nessuno l'aveva riparata.
Il maresciallo si domandò perché avesse creduto alla storia dell'auto sull'albero in un bosco.
Guardando Natalino, non gli pareva il tipo da venire a burlarsi dei Carabinieri, dei quali sembrava avere un vero timore, al
punto che c'era da domandarsi dove avesse trovato il coraggio per venire lì a raccontare quella storia. Strada
facendo, il tabaccaio gli aveva spiegato che il posto, probabilmente, si trovava sotto l'orrido che sta dietro alla
chiesetta di San Valeriano a Pian Lavarino. L'auto, per quanto insolito e improbabile, avrebbe potuto essere caduta da
lì. Melis conosceva il posto, perché era dovuto salire più volte, dato che la gente del posto si era
lamentata dell'aggressività dei cani dell'uomo che viveva nella casa di fronte alla fontana.
Gli sembrava alquanto improbabile che un'auto avesse potuto cadere di lì accidentalmente. Non esisteva la
possibilità che l'auto fosse caduta per un freno a mano dimenticato, o per una curva presa male. Bisognava proprio
infilarsi in un prato in discesa, evitare tutti gli alberi, e soltanto così si sarebbe finiti di sotto.
In un tornante a fianco del bial, imboccarono una variante a nord della strada, e parcheggiarono. Bisognava salire a
piedi perché da lì diventava un sentiero. Dopo cinque minuti di marcia, furono sotto ad uno strapiombo, in riva
al rio che scorreva nel fondo. Sul bordo del sentiero che sembrava morire lì, forse perché nessuno lo
percorreva più da anni, un castagno secolare innalzava i suoi rami giganteschi verso la parete verticale di roccia e
terra, tenuta insieme dalla fitta vegetazione. In alto, un fuoristrada bruciato insieme alla parte alta dell'albero,
stava incastrato ai grossi rami. La carrozzeria era ammaccata solo in corrispondenza dei rami, quasi fosse nata lì,
apposta per starci incastrata. A circa quindici metri da terra. Sarebbe stato un problema recuperarla. Anche per vedere se
c'era sopra qualcuno.
– De Ieso, riaccompagna il signor tabaccaio. Poi vai in caserma e chiami i vigili del fuoco, spiegandogli bene la
situazione, mi raccomando. Potrebbe servire un escavatore per allargare il sentiero in modo da permettere al loro mezzo, di
raggiungere il luogo dove c'è l'auto da recuperare. Se non ce l'hanno loro, bisogna precettare qualche
impresa locale che ne abbia uno adatto. Attendi l'arrivo dei vigili e li accompagni qui. Io intanto voglio salire a Pian
Lavarino, a fare un sopraluogo nel punto dove l'auto probabilmente è caduta. Domande, De Ieso?
– Signor no, signor maresciallo. Agli ordini.
Melis rimase per un poco pensieroso sul posto, guardando l'auto sull'albero.
Per farsi coraggio, volle azzardare l'ipotesi migliore per lui, quella che gli avrebbe procurato meno grattacapi. Si
disse che qualcuno con un'auto vecchia da rottamare, per non spendere il denaro della rottamazione l'aveva buttata
nel burrone, poi aveva magari fatto denuncia di furto. Oppure no, non aveva fatto la denuncia, ma era andata così.
Ma si rendeva conto da solo che si trattava di una speranza vana: le auto sono troppo riconoscibili , otre che dalla targa, da
una infinità di numeri di matricola, per cui, si preparò a bersi il calice amaro della verità che
già si affacciava, fino all'ultima goccia. Dopo che il fuoristrada era ripartito, si accorse che Natalino era
ancora lì, che lo guardava interrogativo, sempre rigirandosi il basco fra le mani. – Te poli andè, Natalin. Grazie.
Gli disse nella sua stentata quanto improbabile imitazione del dialetto locale. Ma l'uomo capì e si incamminò
sulla strada in salita, nella stessa direzione che avrebbe preso il maresciallo, il quale gli diede una decina di minuti di
vantaggio.
Dopo un paio di tornanti, l'uomo entrò in una baita al lato della strada. Melis prese nota che abitava lì.
Un picchio si stava dando da fare su un albero nel bosco, non molto lontano, chissà dove. Egidio lasciò la strada
e si arrampicò nel bosco, non per arrivare prima, ma nella speranza di trovare qualche fungo, magari da mettere quel
giorno stesso nella pasta. Trovò soltanto qualche galletto, che per l'uso che aveva in mente lui, sarebbe
andato benissimo. Li mise nel fazzoletto, che tenne per i quattro angoli a mo' di borsa improvvisata. Poi gli venne in
mente che per raccogliere funghi occorreva pagare per avere un tesserino. I frutti che la natura elargiva a tutti gli uomini,
erano soltanto a disposizione di chi pagava il fottuto tesserino. Melis che era molto in crisi per il contrasto tra la sua
idea di giustizia, e il modo in cui veniva applicata, lui che era stato un idealista, arruolandosi da giovane nei Carabinieri,
proprio per poter fare trionfare quella sua idea, pensò che in fondo lui in quel luogo, era l'autorità, e
voleva proprio vedere la guardia forestale che avrebbe ficcato il naso nel suo fazzoletto pieno di galletti, anche se era
stato addestrato a rispettare sempre la legge. Ma diamine! Occorre discernimento, caso per caso: non si può
applicare una "giustizia digitale", o bianco o nero.
Come sempre, salendo su quella montagna, che solo pochi mesi prima era stata testimone della sua felicità, quando si
recava a fare delle escursioni con Elisa, si rattristò ancora di più, se mai era possibile, in una giornata
già cominciata male. Ricordò i riti dei loro pick nick all'aperto, durante le belle giornate, le risate ed
i baci, sulla coperta stesa sull'erba, in luoghi ameni ed appartati, dove talvolta facevano l'amore, meravigliati
ogni volta dalla gioia e dalla passione che li avvinceva all'unisono.
Respinse quei pensieri. Era arrivato davanti alla piccola chiesa. Raccolse altri galletti sul prato del piazzale. Poi scese
nel prato sottostante, seguendo le orme sull'erba ancora bagnata per la rugiada della notte precedente. Le tracce dei
pneumatici non erano rettilinee. Come pensava, per arrivare nel precipizio, l'auto aveva dovuto evitare gli alberi che
avrebbero potuto ostacolare il suo cammino verso l'abisso. Questo rafforzò in lui la speranza che si trattasse
della rottamazione anomala di una vecchia auto, ma si era già data la risposta pochi minuti prima, anche se, una
parte di lui, averbbe voluto non accettarla. Sperò che ciò che avrebbero trovato confermasse questa ipotesi.
Sperò che non vi fossero persone a bordo. Anche il fatto che l'auto, vista da sotto, sembrava avesse bruciato,
dopo la caduta, si disse che avrebbe potuto confermare quella ipotesi.
Se non si ingannava, quella era un'auto a gasolio. Il gasolio è difficile che si incendi per un urto. Nel motore
esso deve essere polverizzato finemente e iniettato in una camera di scoppio calda, affinché bruci. Quindi il fuoco
doveva essere stato appiccato proprio prima di spingere l'auto nel precipizio.
Altre garitole stavano proprio sul bordo del prato. Le raccolse e il suo fazzoletto fu pieno. Non avrebbe potuto
raccoglierne più. Pensò di darle ai suoi ragazzi che preparassero una pasta che si sarebbe mangiato anche lui.
Notò l'erba schiacciata vicino al precipizio, a fianco dei solchi lasciati dalle ruote.
Qualcuno aveva pestato lì vicino all'auto, prima che questa precipitasse. Si sentì un po' sollevato.
Il rombo di un motore, che andava e veniva in intensità crescente, annunciò l'arrivo di un auto, che stava
ancora arrancando nei tornanti più sotto. Egidio Melis risalì sul piazzale della chiesa di San Valeriano ed
attese. Dopo alcuni minuti spuntò il fuoristrada rosso dei vigili del fuoco. Dei quattro uomini a bordo, soltanto uno,
il più alto in grado si avvicinò al maresciallo e gli tese la mano presentandosi. Gli altri si stavano
preparando. Uno di loro aveva indossato una imbracatura.
– Abbiamo già fatto un sopraluogo là sotto. Tentiamo un avvicinamento dall'alto, così per
avere una prima idea di cosa si tratta. Uno dei nostri si calerà con l'imbracatura per vedere cosa c'è
nell'auto. Nel caso si trattasse solo dell'abbandono di un'auto e non ci fossero persone a bordo, noi saremmo
del parere di lasciare l'auto dove sta. Sempre che lei sia d'accordo, maresciallo. In questo caso sarebbe un inutile
dispendio di risorse e di tempo. Per recuperarla dovremmo allargare la strada per un centinaio di metri, in modo che una delle
nostre lunghe gru possa portarsi in posizione di recupero. E anche così, non sarà una passeggiata.
C'è quel castagno gigantesco che ostacolerà il recupero con la gru. Dovremmo tagliare molti rami. Insomma
una o più giornate di lavoro. L'auto si trova in una posizione stabile e l'albero pure. Forse basterebbe
mettere dei cartelli di pericolo...«Ma non ne sei convinto nemmeno tu!», pensò il maresciallo.
Prima di rispondere, Melis pensò all'ironia della sorte di quell'albero secolare, probabilmente nato molto
prima che circolassero nel mondo tutte quelle automobili, a inquinare la nostra atmosfera con le loro emissioni. Al fatto che
una di esse, alla fine della sua esistenza, venisse in qualche modo a disturbare la maestosità dell'albero, se non
a comprometterne la vita. Dopo quella che gli parve una eternità, da quando l'altro aveva finito di parlare,
rispose:
– Sì, in linea di massima sono d'accordo con lei, se non ci sono vittime. Dica al suo uomo, se può,
di fare il possibile per identificare il veicolo, nel caso non ci siano vittime. Targa, numero del telaio o del motore,
eventuali documenti.
Lo disse senza convinzione, perché la vocina dell'intuito ora si sentiva più forte, e gli diceva che
sarebbero andati fino in fondo a quello sporco lavoro.
Il fuoristrada dei vigili aveva un argano davanti, al quale stava arrotolata della fune d'acciaio. Gli uomini lentamente
la svolsero. Al gancio stava attaccata la fune sintetica da alpinismo che uno di loro teneva arrotolata in spalla.
All'altro capo di questa, si agganciò con un grosso anello a molla, l'uomo con l'imbracatura. E
cominciò a scendere.
Sembrò passare un'ora, prima che la ricetrasmittente del capo squadra gracchiasse. Invece erano passati soltanto
quindici minuti.
– Tiratemi su. C'è un uomo quasi completamente carbonizzato nell'auto. Passo e chiudo.
Avrebbero fatto notte. Maledetto lavoro. A volte il tempo sembrava non passare mai, lasciando la mente di Egidio a tormentarsi
con il ricordo di Elisa, altre volte si era troppo presi per accorgersi che un altro giorno è andato.
Era già buio e gli uomini lavoravano alla luce artificiale delle fotoelettriche, quando finalmente la grossa gru,
riuscì a tirare giù l'auto, dopo avere fatto scempio dei rami del grande albero.
L'auto era quella del tenente Antonio Bellassai, ed il cadavere carbonizzato era probabilmente il suo, stando ai documenti
trovati nel cruscotto.
Al maresciallo Melis tutto questo non suonava bene. Due morti dei servizi e un pensionato scomparso. Cosa stava succedendo
nella sua parrocchia? Il giorno appresso sarebbe andato a conferire a Saluzzo con il suo superiore, il capitano Palmieri.
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Il pensiero non è un prodotto finito, ma un processo in divenire, sempre incompiuto e perfettibile.
Scrivere è un contributo a migliorare questo nostro Mondo.
Pensare un mondo migliore è un atto d'amore verso gli altri.
Pensare in tanti un mondo migliore è già un 50% della sua realizzazione.
Giovanni
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