Data creazione pagina: 18/07/2013 14:57
- Titolo: Capitolo 4: Indagini. Estate 2007.
Tutto era cominciato in quella primavera. Il periodo precedente era stato molto stressante. Malattie e lutti si erano riprodotti in un lungo rosario interminabile. Parenti, amici, conoscenti che non avrebbe più rivisto. Alcuni di essi molto, troppo giovani per andarsene. Così era la vita. Poi la crisi economica, progressiva, sempre più grave. Una vita da schiavi. E nessuno sembrava rendersene conto.
Con l’avvento dell’euro, il potere d’acquisto si era drasticamente dimezzato. Già nel decennio precedente, per poter svendere, facendo ancora lo sconto agli acquirenti privati, i gioielli di Stato, Eni, Enel, Ferrovie, eccetera, politici corrotti e alti funzionari avevano, svalutato la vecchia Lira.
I media strombazzavano sul giallo di Cogne, sulla “malasanità", sull’influenza aviaria, sul calcio corrotto, invece di informare la gente su ciò che stava realmente accadendo, nel nostro paese e nel mondo. Che il vero potere era nelle mani di pochi banchieri, i quali compravano tutti i politici, i giornalisti, tutto quanto.
Tutti vivevano presi dalla frenesia di poter riuscire a tirare avanti, nonostante tutto, costretti a lavorare molte ore al giorno, non già per arricchire, ma per sopravvivere.
Suo padre era peggiorato in modo definitivo, irreversibile. Non si alzava più dal letto, non si capiva ciò che diceva. Probabilmente un piccolo aneurisma, ischemia cerebrale, gli aveva dato la mazzata finale. Del resto si vedevano sulle mani e sulle braccia, ematomi non già dovuti a traumi, ma alla fragilità capillare, prevista, come piccolo effetto collaterale, nei “bugiardini”, dei molti farmaci che assumeva. Piccoli effetti collaterali. Che possono fare di un uomo una larva. L’epilogo, pensava, di un lungo “psicodramma” familiare, iniziato quarant’anni prima, nel tentativo assurdo di dare un “senso” ad una vicenda di famiglia che senso non aveva.
In questo clima deprimente, sua figlia, che aveva appena rotto con un bravo ragazzo del paese, aveva preso a rientrare sempre più tardi, con un aspetto sconcertante, per la brava ragazza che sempre era stata ai suoi occhi.
A volte sembrava come ubriaca, ma lui sospettava che fosse qualcosa di molto peggio. È vero che era ormai maggiorenne da molto tempo, che aveva un lavoro da commessa in una boutique nel centro commerciale delle Fornaci, e lui non poteva intromettersi più di tanto. Quale è il ruolo di un padre nella società moderna, post industriale, globalizzata?
Ma quando la vide, per l’ennesima volta rientrare, con la faccia stravolta, piangente, gonfia, e con qualche livido, decise che era arrivato e come, il momento di intromettersi, a modo suo. Allevi dei figli, li cresci, li fai studiare, perché sai che sei il loro trampolino sul mondo, che essi sono il futuro che, a te non appartiene, ma speri di avere fatto il meglio, con la certezza di avere sbagliato molte volte, non già in malafede, ma per ignoranza, orgoglio, e quando vedi che tutte le speranze vanno a ramengo, dovresti fingere di non vedere? Voltarti dall’altra parte? No. Non poteva.
Decise, siccome lei non parlava, non si confidava, nemmeno con la madre, di fare delle indagini per conto suo, intanto per sapere con chi si incontrasse.
In un primo tempo, pensò di rivolgersi ad un suo ex compagno di scuola, il quale, sapeva, aveva una agenzia di investigazioni private. Di quelle che pedinano i coniugi fedifraghi e fanno le foto. Poi pensò che avrebbe fatto tutto da se’. Meglio non immischiare estranei nelle cose di famiglia.
* * *
Elisa si rivestì dietro al paravento, nello studio del ginecologo di Saluzzo. Aveva sempre pensato a quanto fosse umiliante per le donne sottoporsi a queste visite. Come facevano le nostre nonne, quando non esistevano ginecologi? Si domandava.
–; Lei è perfettamente sana. Non c’è alcun bisogno di sottoporsi ad altre analisi. Non le prescrivo nessuna terapia. Probabilmente il problema è suo marito…Le prescrivo il nome di un collega, presso il quale suo marito potrà sottoporsi alle analisi del caso. Se risultasse essere come credo, c’è sempre la possibilità della fecondazione assistita. Come estrema ratio, esiste sempre la possibilità dell’adozione.
Elisa non gli disse cosa pensava della “fecondazione assistita”, il modo più innaturale e umiliante, di fare la cosa più naturale del mondo. Proprio in quegli anni era stato forte il dibattito mediatico su quello specifico tema, che portava molto lontano, all’eugenetica e oltre. Un problema che toccava l’etica e la morale, ma che, sospettava lei, servisse in quel periodo storico, per allontanare la gente dai problemi reali. Oltre, naturalmente, a fornire lavoro ad una classe medica che, stava diventando sempre più numerosa, mentre al contempo stava perdendo sempre più la fiducia dei pazienti.
Mentre tornava a casa in autobus, si domandava cosa avrebbe fatto sua nonna, al posto suo.
* * *
Quando scese dall’autobus, sulla piazza di Paesana, trovò la risposta alla sua domanda. C’era il fuoristrada dei Carabinieri parcheggiato sulla piazza. Vide il maresciallo Melis che parlava con un sottoposto. I loro occhi si incrociarono per un attimo. Elisa sorrise. Melis si sollevò leggermente il berretto, e ricambiò il sorriso. La soluzione al suo problema era lì, a portata di mano.
Elisa, si avviò verso casa, ma si fermò a comprare il pane. Dalla panettiera seppe che il maresciallo dei carabinieri, uno scapolo, cercava qualcuno che gli tenesse in ordine l’appartamento, e preparasse qualche pasto.
Nel primo pomeriggio si presentò in caserma, dicendo di aver saputo dalla panettiera che il maresciallo cercava una colf.
* * *
Ad Egidio Melis pareva di stare vivendo come sopra le nuvole, in un sogno troppo bello per essere vero.
Negli ultimi tre mesi, non aveva vissuto che per i momenti in cui stava con Elisa. C’era però un altro lato della medaglia, che lo tormentava. Senza ombra di dubbio, lui, uomo di legge, e uomo dai sani principi morali, stava pisciando nel pitale altrui. Non pensava di fare niente di male. In fondo erano entrambi adulti e consenzienti. Ma…
Fu Elisa a toglierlo di impiccio, il giorno che gli disse che era stata dal medico, visto che ultimamente si sentiva stanca, e che questi le aveva consigliato di non strapazzarsi troppo. Insomma, non sarebbe venuta più a fare pulizie e preparare i pasti. Avrebbe dovuto cercarsi un’altra. In un primo tempo, ma soltanto per poco, pensò, che il problema fosse soltanto logistico, che nulla sarebbe cambiato fra di loro. Ma presto intuì che era la fine dell’unico vero, grande idillio della sua vita. Non la vide più. Fino all’inverno successivo.
Nel frattempo, per porre rimedio al problema pratico del suo appartamento, che, col passare dei giorni, delle settimane, da quando Elisa gli aveva fatto quel discorso, sembrava diventare sempre più caotico e sporco, come la sua vita stessa, provò prima una rumena, poi una brasiliana, infine una cinese. Nel giro di due mesi, abbandonò totalmente l’idea di trovare una colf, che sostituisse, almeno sotto quell’aspetto, Elisa.
Il suo appartamento divenne l’antro dell’inferno, sia per la polvere ed il disordine che vi si accumulavano, sia per il fatto che, ogni volta che vi faceva ritorno, la sera, pensava a lei e soffriva. Ma non lo avrebbe ammesso mai.
* * *
Vincenzo Maccaluso si sentiva di buon umore quel mattino, mentre faceva la doccia prima di recarsi al lavoro. La sera prima aveva avuto un alterco con la moglie Daniela. Si era nuovamente lasciato andare. Poi, più tardi, a letto, avevano fatto pace, come sempre. Era sempre molto dolce, dopo.
Quella sera avrebbe rivisto Sara, la ragazza conosciuta da poco. Venticinque anni, un fiore di bellezza. Fremeva a quell’idea. Ebbe una erezione nella doccia, pensandoci, e considerò l’idea di masturbarsi. Poi pensò alla lunga giornata di lavoro che l’aspettava e uscì dalla doccia.
–; Questa sera rientrerò tardi. Una riunione…
Disse alla moglie. Daniela aveva i suoi dubbi, su queste riunioni serali frequenti. Ma sapeva anche che sarebbe stata al riparo dai loro litigi, e da tutto quello che ne conseguiva, mentre lui stava fuori. Avevano un figlio piccolo. Daniele, due anni. Si preoccupava soprattutto per lui, che assisteva atterrito alle frequenti sfuriate di Enzo con lei. E temeva che un giorno anche Daniele ne avrebbe pagato le conseguenze. Aveva pensato sempre più spesso di andarsene di casa, ma dove?
Di tornare dai suoi genitori, contrari fin dall’inizio alla sua relazione con quel siciliano, e poi al matrimonio, non se ne parlava nemmeno. Loro, piemontesi entrambi, consideravano mafiosi tutti quanti i siciliani. Andare a vivere per conto suo, con il figlio e il suo misero stipendio di insegnante, sarebbe stata dura. Senza contare che lui li avrebbe sicuramente trovati. E l’avrebbe ammazzata di botte. No. Doveva pensarci ancora. Organizzarsi meglio. Doveva trovare il tempo per pensare, tra il suo lavoro, le sue incombenze domestiche, la cura del figlio. Si sentiva troppo intontita per pensare e prendere decisioni lucide, da quando il suo medico le aveva prescritto il Prozac, come rimedio per la sua insonnia.
E dire che c’era stato un tempo, all’inizio, in cui aveva creduto di essere felice. Ma era durato poco. Daniela era molto innamorata di Enzo. Un bell’uomo, quasi due metri di statura, atletico, abbronzato, riccioli biondi, occhi da mascalzone. Sapeva perfettamente che lei, e forse tutte le donne, si sentivano attratte da quei tipi, che soltanto guardandoli, sapevi immediatamente che ti avrebbero fatto soffrire. Ma al cuore non si comanda. Forse era un pochino masochista. Non lo erano un poco tutte le donne? Altrimenti, come spiegarsi cose dolorose come, ad esempio, i tacchi a spillo, quegli assurdi trampoli, sui quali è difficile imparare a camminare, e che, una volta imparato, è comunque doloroso avere ai piedi per molte ore. Ma esaltano la caviglia, il polpaccio. Camminando fanno ancheggiare come fotomodelle. Gli uomini come Enzo vanno matti per cose come quelle.
Vincenzo aveva avuto quel lavoro di addetto alla sicurezza del nuovo magazzino Saturn, aperto di recente al centro commerciale delle Fornaci, grazie al fatto che aveva fatto il servizio di leva come Carabiniere a Fossano. A dire il vero erano già alcuni anni che era nel settore, nella stessa ditta, ma lì aveva fatto un passo avanti: responsabile della sicurezza. Questo significava maggior stipendio, ma anche maggiore responsabilità, orario di lavoro più lungo, ma anche un’ottima scusa per non tornare a casa certe sere. Il maggior carico di lavoro, in un altro avrebbe portato ad un calo dell’energia, stanchezza, stress. Ma lui sapeva come porvi rimedio. Qualche tirata di “neve”, di tanto in tanto, quando sentiva di non farcela, e tutto ridiventava meraviglioso. Persino le sue prestazioni sessuali avevano maggior successo di prima. Ed era più piacevole. Non era un drogato: avrebbe potuto smettere in qualsiasi momento. Aveva tutto sotto controllo. Pensava.
* * *
Quando la rivide, a dicembre, spingeva una carrozzina.
Capì. Era stato usato. Qualcosa, dentro di lui si ruppe, definitivamente. Aveva immaginato, sperato, per se’ e per Elisa, una felicità possibile, insieme. Lui, uomo pratico, attento a non desiderare l’impossibile, si era illuso, e si era scottato.
Passarono mesi bui, come quando si perde ogni speranza di vita. Dimagrì al punto che pensò di essersi ammalato seriamente. Ma, diffidando dei medici, i quali curano i corpi, e sapendo che il suo male era nell’animo, non ne interpellò nessuno. Si immerse nei suoi libri, mal sopportando il lavoro, e fece passeggiate a piedi su in montagna, ogni volta che ne aveva il tempo, evitando accuratamente tutte le escursioni che aveva fatto con lei.
Il sole e l’attività fisica ritemprarono il suo corpo. Ma qualcosa nel suo animo era cambiato per sempre. Mai più, si diceva, si sarebbe lasciato intrappolare da una donna.
Non molto tempo dopo, sua madre, a Esterzili si ammalò, iniziando così un calvario di circa tre anni, alla cima del quale, entrambi i suoi genitori se ne andarono, a meno di due mesi di distanza l’una dall’altro. Così smise di pensare ad Elisa, avendo questo altro cruccio, per il quale, del resto lui non avrebbe potuto fare nulla. Aveva più volte accarezzato l’idea di chiedere un trasferimento. Era anche certo che, data l’età, le motivazioni ed il merito di cui godeva presso i suoi superiori, glie lo avrebbero anche concesso. Ma si sentiva impotente verso ciò che accadeva ai suoi genitori.
In realtà era in forte disaccordo con la sorella Santina, circa quello che stava succedendo loro. Non voleva andare laggiù e peggiorare ulteriormente le cose, urtandosi con la sorella e dando il cruccio del loro contrasto ai genitori. Ed era in disaccordo con i medici. Non ci si può mettere a lottare con i medici, se i pazienti ne hanno fiducia.
Infine, nutriva una strana convinzione “new age”, secondo la quale, nessuno morirà, ne’ un minuto prima, ne’ un minuto dopo la sua ora. Così, come sempre quando era in una situazione conflittuale, nel dubbio su come agire, Egidio Melis lasciava che fosse. Quello che doveva essere. C’era stato un periodo della sua vita, in cui, nella sua ricerca personale di verità, nei libri e nella vita, era stato attratto da questa nuova dottrina. Un misto di varie religioni, dal buddismo, al tao, dalla fede nel Grande Spirito, dei nativi americani, a vari insegnamenti di Gesù Cristo, in un sincretismo che si adattava ad ogni cosa e ad ogni situazione. Questa “fede” new age, comprendeva una credenza nella reincarnazione, la trasmigrazione delle anime, metempsicosi, la deificazione della natura e dell’universo. Era stato il periodo successivo alla lettura di Perché non sono cristiano1, di Bertrand Russel, il filosofo.
La tesi di Russel era che il cristianesimo, così come lo conosciamo oggi, altro non era che la costruzione a tavolino di una nuova filosofia, una nuova religione, avvenuta a partire dagli inizi del primo millennio dopo Cristo, ad opera di filosofi e teologi, come Tommaso D’Aquino, S.Agostino, effettuando delle scelte opportune tra il materiale scritto pervenuto, soprattutto i Vangeli. Scegliendo e scartando opportunamente, ciò che faceva comodo.
Ma stava maturando la stessa convinzione, anche a proposito del new age. Anni dopo, avrebbe avuto la conferma, in un libro regalatogli dall’amico Alfonso, che pensatori come Bertrand Russel, Aldous Huxley, Gregory Bateson, avevano scientemente dato vita a questo nuovo movimento, assieme alla promozione delle droghe, per spingere le persone nella direzione voluta. Una operazione di controllo mentale occulto. Distruggere una grande e potente religione, creandone una nuova, allo scopo di promuovere il “mondialismo”. In un altro libro che aveva letto, I protocolli dei Savi Anziani di Sion2, vero o fasullo che fosse, si aveva conferma di questo piano esistente per la conquista del mondo intero, distruggendo tutte le vecchie grandi religioni, creandone una nuova.
Tutto sommato, pensava Egidio, se la nostra esperienza, i nostri studi, la nostra personale ricerca, ci convincono, o ci confermano la tesi intuitiva, dell’esistenza di un anima immortale e di un Dio immanente, tanto vale adorarlo e pregarlo, servirlo come ci è stato insegnato fin da bambini, magari al catechismo.
Così aveva lasciato fare, alla sorella ed ai medici, con le conseguenze che c’erano state.
In una occasione di una sua visita per Natale, in cui la famiglia si era riunita nella casa paterna ad Esterzili, la sorella l’aveva preso in disparte, confidandogli che la mamma stava perdendo la memoria, sbagliava i nomi delle persone, temeva insomma che avesse il morbo di Altzeimer.
Egidio, che aveva trovato invece, che la mamma fosse quella di sempre, aveva messo in guardia la sorella dal mettere questa cosa nelle mani dei medici. Era un campo ancora troppo delicato, per la scienza che, secondo lui, non era così onnipotente come voleva far credere. Che comunque, per quella malattia, qualunque cosa fosse, dato che per lui si trattava soltanto di una etichetta, per definire una serie di fenomeni, che Egidio avrebbe prudentemente chiamato “vecchiaia”, la medicina non aveva rimedi. Ma quindici giorni dopo, la sorella lo aveva avvertito che la mamma era peggiorata e si era preso un’altra licenza per andare a constatare di persona. In effetti, era un’altra persona rispetto a Natale. Catatonica, con lo sguardo perso nel nulla, seduta su una sedia, non reagiva a nulla, non sembrava più appartenere a questo mondo.
Egidio era sbirro, e razionale. Indagò sulla terapia che seguiva, su chi l’avesse prescritta. Tre diversi tipi di psicofarmaci al giorno, prescritti dal medico di famiglia, avevano ridotto sua madre una larva, senza nessun tipo di analisi cliniche. Fu tentato di infuriarsi, dapprima con Santina, con il padre, quindi con il medico, ma si trattenne. Santina, abitava relativamente vicino, a Quarto, presso Cagliari, e poteva strategicamente prendersene cura, occuparsene, e non era il caso di farla sentire in colpa. Il padre aveva quasi raggiunto i novanta, e non si poteva incolparlo d’essere stato tratto in inganno dalla fandonia dell’onnipotenza della medicina: era sempre stato un contadino. Sapeva fare solo il contadino. L’unico che sarebbe stato da sbattere in galera, anzi giustiziare, era il medico, per la leggerezza con la quale aveva prescritto quei farmaci. Ma sapeva per esperienza, come i medici di famiglia fossero ormai diventati impiegati delle industrie farmaceutiche addetti alla prescrizione su larga scala di farmaci. Poteva lui, maresciallo di provincia, mettersi contro a questo collaudato sistema affaristico, dove erano in ballo miliardi di Euro all’anno?
Consigliò che fossero fatte delle indagini più approfondite; che si interpellassero degli specialisti, prima di rovinarla in quel modo con farmaci di quella potenza. Una persona di ottant’anni, bloccata farmacologicamente nei movimenti, sarebbe poi ripartita, cessando la “terapia”?
E ripartì. Fu fatta una TAC. I medici individuarono un tumore al cervello, operarono, la sottoposero a chemioterapia. Sua madre visse ancora quasi tre anni, sempre nel letto, assistita come un bambino, infine “guarì” definitivamente. A suo padre, che aveva vissuto cinquanta e più anni con sua moglie, si spezzò il cuore, e la seguì meno di due mesi appresso.
Forse, pensò Egidio, era destino così. Karma. Predestinazione. Ma aveva in se’ un tarlo, una sorta di veleno, che lo insidiava con una domanda alla quale lui trovava una risposta totalmente diversa, a tutto quello che era successo ai suoi genitori. Se, come lui preferiva sempre fare in caso di dubbio, ambiguità, indecisione, non si fosse fatto nulla, cosa sarebbe cambiato nella sorte dei suoi genitori?
Sua madre e suo padre sarebbero vissuti meno? In fondo, lei ottanta, lui novanta, si poteva dire che avevano vissuto, a lungo, abbastanza serenamente. Perché, in quegli ultimi tre anni, fare loro conoscere l’inferno in terra? È davvero così importante vivere più a lungo? L’inferno era cominciato perché la sorella aveva notato che la madre perdeva la memoria. Non è questo un dato di fatto, relativamente “normale”?
Se non si fosse intervenuto, non sarebbero stati, i loro ultimi giorni quaggiù, molto più sereni? Alla fine del loro cammino, come del cammino di tutti, c’è sempre comunque la morte. Fa parte del gioco della vita. La sofferenza è stato un di più. Uno scherzo della medicina. Lo scopo della medicina, non sarebbe quello di alleviare le sofferenze? Invece, nella pratica quotidiana, essa non faceva che accentuarle, calpestando, macinando nei suoi lenti, farraginosi ingranaggi, la dignità delle persone e dei loro parenti. Infine, la saggezza della senilità, dovrebbe essere l’accettazione dell’ineluttabilità della morte. Arrendersi serenamente a priori ad essa era la sua pietra filosofale.
Lui conosceva la risposta, se si fosse trattato di se’ stesso. Ma come fare in caso di persone care?
Egidio sentiva chiaro e limpido dentro di se’, che nel mondo moderno, nella cultura dell’uomo tecnologico e globale, ci fosse la necessità ineludibile di un’etica al di sopra di tutto. Invece c’era il denaro, in cima al mucchio delle priorità umane. Anzi, il profitto ad ogni costo, visto che il denaro era ormai soltanto più carta straccia.
* * *
Parcheggiò nel grande piazzale antistante le nuove costruzioni del centro commerciale. Girando aveva individuato l’auto della figlia, una Fiat Punto rossa, ed aveva parcheggiato poco lontano. Le luci nel piazzale erano accese. Era già buio, a quell’ora. Pensò per un attimo che avrebbe potuto essere scorto da qualcuno, ma sapeva che nelle città, in genere, la gente si fa i fatti suoi.
Arrivarono insieme, poco dopo. Lui era un uomo gigantesco, di fronte alla ragazza minuta. Aveva spalle larghe. Un fisico robusto ed allenato, come chi fa dello sport. Lei lasciò delle borse nella sua auto, poi salì su quella di lui, parcheggiata di fianco, un Fiat Scudo grigio metallizzato chiaro. Si baciarono. Poi lui depose qualche cosa, che si era tolto dalla tasca della giacca, sul ripiano in mezzo a loro. A turno si chinarono a metterci il naso dentro per alcuni secondi. Era molto peggio di quello che immaginava. L’auto accese le luci e si avviò lentamente. Lui li seguì. Era in vacanza ed aveva tutto il tempo che voleva a disposizione. Il traffico era scarso a quell’ora di sera, quando tutti sono a cena. Si teneva lontano per non destare sospetti, ma non voleva perdere di vista l’auto grigia. Dopo il ponte sul Sangone, svoltarono a sinistra. Attraversarono Borgaretto, l’incrocio di Stupinigi, e proseguirono dritti verso Moncalieri. A Nichelino, svoltarono a destra verso l’insegna azzurra di un motel. Lui parcheggiò sulla strada principale, tanto ormai aveva capito dove erano diretti.
Sostò così per un quarto d’ora, tentando di decidere se aspettare che uscissero, oppure andarsene. Potevano volerci ore. Ripensò allo psicodramma della sua famiglia d’origine. Sapeva perfettamente che tutta la “recita” era finalizzata a far rientrare in scena lui stesso, che non voleva assolutamente rientrare. Quali drammi può generare l’umana stupidità. Lui aveva una parte in un’altra compagnia, più numerosa. Non avrebbe lasciato questa, per rientrare nella commedia dei suoi genitori, dove suo padre recitava la parte del “malato”, e lui veniva chiamato per fare il “capro espiatorio”, quello che avrebbe dovuto sentirsi in colpa per quello che succedeva al padre. Ma lui non si sentiva in colpa. Non più. Aveva tentato di fare tutto il possibile per salvare il padre: evitare certi farmaci pericolosi; portarlo dall’osteopata per i suoi dolori reumatici; curarlo con la dolcezza della medicina omeopatica, che, anche se non gli avesse fatto bene, almeno non gli avrebbe fatto male.
Tutto era stato inutile. Suo padre si fidava ciecamente della moglie, e tutto ciò che lui proponeva era inutile, persin deriso come ingenua illusione. Nessun tribunale gli avrebbe dato ragione, perché solo i medici possono occuparsi di cura e nessuno li può contraddire. Ma i medici avevano dimenticato la regola numero uno, per asservirsi totalmente all’industria farmaceutica: primo, non nuocere.
Era persuaso che se suo padre avesse ascoltato i suoi consigli, anche sull’alimentazione, non si sarebbe mai ridotto in quello stato. Ma adesso era troppo tardi. Sapeva anche che lo avrebbero criticato perché si disinteressava del genitore. In questi casi esiste un copione prestabilito. La gente si aspetta che ci si comporti in determinati modi, in determinate situazioni. Ma perché adeguarsi se non poteva più aiutare il padre?
Come hanno avuto ragione Balzac, Tolstoj, Pirandello, Verga, Dostojewsky, Hugo a considerare l’esistenza umana una vera e propria commedia, nella quale la gente applica stereotipi comportamentali che ritiene appropriati alla situazione, senza sforzarsi di pensare con la propria testa. Lui no. Preferiva sempre allontanare da se’, la reazione stereotipata, e considerarla da lontano. Cosa stava facendo adesso parcheggiato nei pressi di un motel? Voleva ancora sapere nome e cognome dell’infame che portava sua figlia sulla strada della droga, e la picchiava pure, probabilmente. Voleva sapere dove abitasse, che lavoro facesse. Ormai aveva impresso in mente il suo volto, la targa e il modello della sua auto. L’avrebbe seguito un altro giorno. Sapeva dove agganciarlo.
Avviò il motore e tornò a casa.
Il mattino seguente, di buonora, parcheggiò pressappoco nello stesso posto della sera prima, nel centro commerciale. Voleva sapere dove lavorasse l’uomo, quali mansioni avesse. Scese dall’auto e bighellonò lì intorno. L’aria era fresca, ma la giornata si preannunciava radiosa. Cielo sereno, assenza di vento. Più tardi avrebbe magari fatto anche molto caldo. Le stagioni di un tempo, ormai, erano soltanto più un vago ricordo. Che fosse vera quella che lui considerava una baggianata, che c’era un surriscaldamento globale del pianeta? C’era poca gente a quell’ora mattutina. Teneva d’occhio il parcheggio e l’ingresso della nuova costruzione del centro.
Stava considerando l’idea di tornare a sedersi in auto, quando la grossa monovolume grigia metallizzata, andò a parcheggiare non molto lontano dalla sua auto. Provò un misto di odio per l’uomo grosso che ne scese, tenerezza per la figlia, inquietudine circa il da farsi, paura. Il suo cuore accelerò e sentì gli effetti dell’adrenalina che andava in circolo. Pressione alta. Sensi all’erta.
L’uomo entrò nella costruzione. Mancava ancora mezz’ora all’apertura al pubblico. L’avrebbe trovato. A costo di passare tutta la giornata a cercarlo nei vari negozi. A costo di dover tornare altri giorni ancora.
Ebbe fortuna. L’uomo, con lo stesso completo grigio chiaro col quale era arrivato, che sembrava scoppiare sopra un corpo dalla massa muscolare immensa, stava all’ingresso di Saturn. Aveva microfono ed auricolare, come quelli che usano le guardie del corpo o gli agenti dei servizi segreti. A tratti sembrava parlare da solo. Probabilmente era in contatto radiofonico con altri come lui. Sicuramente era un addetto della sicurezza di quel negozio. Probabilmente era anche armato. Questo complicava maledettamente le cose.